Ciao, sono Gianluca, un innamorato delle proprie passioni. L'avventura è il tema portante, intesa come distacco dalla realtà quotidiana, per immergersi in un contesto dove l'istinto predomina sulla razionalità; intesa come scoperta della verticalità, nel sentirsi completi quando si va sempre più su, sfidando le proprie paure ma contemplando l'abisso. In questo spazio sono condivise le mie esperienze, magari per invogliare qualcuno a ripeterle, magari per fornire qualche utile consiglio.


venerdì 24 marzo 2017

Pizzo Tre Vescovi dal rifugio "Città di Amandola" con salita per il Monte Amandola, Monte Castelmanardo e Monte Acuto (cresta di Nord-Est)

"... abbandoniamo il sentiero n.241 che procede alla nostra sinistra costeggiando la base del "Monte Acuto" ed iniziamo a seguire una flebile traccia che per prati si arrampica lungo l'affilata e ripida cresta che ci condurrà fin sulla vetta di quest'ultimo, niente a che vedere con quanto affrontato finora: ed è qui che inizia il bello!"



Venti Novembre 2016 
Partenza dal rifugio "Città di Amandola" (1200m) ore 7:31
Rientro al rifugio "Città di Amandola" ore 16:21
Durata escursione 8h 50' (pause merenda di 18' alla "Forcella Bassete" e di 19' sulla vetta del Pizzo Tre Vescovi, pausa pranzo di 44' nel "Casale Grascete")
Tempo di marcia: 7h 29'
Lunghezza tragitto: 17,5km circa
Grado di difficoltà: EE, passaggi di I grado per la vetta del Monte Acuto
Dislivello in salita: 1470m 
Dislivello in discesa: 1463m 
Vette raggiunte: 1706m Monte Amandola (croce di ferro), 1917m Monte Castelmanardo (omino di pietre), 1864m Scoglio del Montone, 1832m Colle Bassete, 2035m Monte Acuto (omino di pietre),  2092m Pizzo dei Tre Vescovi (croce di ferro) 
Quota massima: 2092m Pizzo dei Tre Vescovi
Monti Sibillini su Wikipedia
Pizzo dei Tre Vescovi su Wikipedia
Pizzo Berro su Wikipedia
Monte Priora su Wikipedia



Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.



Percorso:
Dietro il rifugio "Città di Amandola" si prende il sentiero del Parco n.241 (segni bianco-rossi) che inizia a salire prima con alcuni ripidi tornanti in mezzo al bosco, e poi con un lungo traverso che taglia il versante nordorientale del "Monte Amandola". Si giunge ad una sella da dove, proseguendo per prati, è possibile raggiungere facilmente la vetta del "Monte Amandola" (croce metallica). Si prosegue fino al "Casale Grascete" e da lì si segue la strada imbrecciata posta poco sopra le fonti adiacenti il casale stesso, che poi si abbandona nei pressi di una piccola costruzione (dove la carrareccia termina). Si prosegue per prati fino a raggiungere la cresta che ha come estremi il "Monte Castelmanardo" a Est ed il "Monte Acuto" ad Ovest: ci si trova nella zona di confine del Parco dei Sibillini e la marcia prosegue, seguendo il filo di cresta, tra paletti e vecchie recinzioni ormai consunti. Raggiunta la vetta del "Monte Castelmanardo" (omino di pietre) si inizia a scendere lungo la cresta passando per lo "Scoglio del Montone" prima ed il "Colle Bassete" poi. Raggiunta la "Forcella Bassete" si lascia il sentiero n.241, che procede sulla sinistra (Sud) costeggiando la base del "Monte Acuto", e si segue una flebile traccia che per prati si arrampica lungo l'affilata e ripida cresta che conduce fin sulla vetta di quest'ultimo (omino di pietre).
Per la discesa si prosegue verso Sud-Ovest (passaggi di I grado su roccia, attenzione!) fino ad arrivare sulla sella tra il "Monte Acuto" ed il "Pizzo Tre Vescovi" per la cui ascesa si taglia il pendio in direzione Sud per poi svoltare verso Ovest seguendo il filo di cresta della vetta (croce metallica divelta). Per la discesa, raggiunta nuovamente la sella tra il "Monte Acuto" ed il "Pizzo Tre Vescovi" si procede riprendendo il sentiero n.241: nei pressi della "Forcella Bassete" invece di salire verso il "Monte Castel Manardo" stavolta si scende sulla destra (la traccia si perde tra l'erba), in direzione del "Casale Ara del Re", fino ad incrociare una carrareccia che in leggera ma costante salita conduce di fronte al "Casale Grascete" (sentiero n.241) da cui si ridiscende fino al rifugio "Città di Amandola".




Relazione:
Una mattina di fine Novembre, sono precisamente le 7:09 e stiamo assistendo ad un'alba magnifica. Il sole sale, aggiungendo colore a tutto quello che tocca con i suoi raggi: dalla posizione privilegiata in cui siamo si riesce a vedere anche il mare... 


L'alba, a sinistra il "Monte Ascensione", a destra i "Monti Gemelli".

"Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte."
(Kahlil Gibran)
L'alba, con il disco del sole che sale dal mare tra il "Monte Ascensione" ed i "Monti Gemelli".

Oltre ad un meraviglioso arcobaleno...


"... un arcobaleno da fiaba".

Siamo di fronte la rifugio "Città di Amandola", iniziando la giornata nel migliore dei modi ossia pronti per un'escursione nei nostri amati Sibillini: feriti ulteriormente dopo l'ultima forte scossa sismica del 30 Ottobre scorso, ma che non abbiamo nessuna intenzione di abbandonare, anzi... 


Una bellissima alba dorata.

Siamo un bel quartetto: il sottoscritto, Lucia ed Assunta, che avevate già conosciuto in occasione dell' escursione sul Monte Bicco e Cime del Monte Bove, e Mario, anch'egli conosciuto in occasione di Uniti per Castelsantangelo sul Nera - Escursione solidale al Monte Vettore.
Una bella squadra che dopo aver scattato tutte le fotografie di rito, aver indossato scarponi e preparato l'attrezzatura ed aver caricato le vivande dentro gli zaini (più tardi viene il bello...) alle ore 7:31 è già in marcia. 
Iniziamo il nostro percorso seguendo la traccia che da dietro il rifugio inizia a salire prima con alcuni ripidi tornanti in mezzo la bosco, e poi con un lungo traverso che taglia il versante nordorientale del Monte Amandola (sentiero del Parco n.241, segni bianco-rossi): che dire, come risveglio non c'è male, fortuna non siamo partiti a spron battuto! 
Tra una chiacchiera e l'altra raggiungiamo senza troppi patemi una sella dove alla nostra sinistra spicca la croce sommitale del "Monte Amandola": in teoria non sarebbe un obiettivo della giornata (quando sono nei Sibillini non so  perché, ma ho la tendenza a "snobbare" le cime sotto quota duemila metri), vista la vicinanza però... 


Le colline marchigiane viste dal lungo traverso sopra il rifugio "Città di Amandola".

"Ragazzi, che ne dite di fare una capatina sulla vetta del "Monte Amandola"? Siamo qui, sarebbe da sciocchi non salire...". 
E qui mi sono dato la zappa sui piedi perché giustamente gli altri iniziano a prendermi in giro sul fatto che sarei salito sulla cima di una montagna sotto i duemila metri...
L'umore è quello giusto, quando la comitiva è nutrita la prestazione va in secondo piano, è il divertimento che sale in cattedra!
Aggiungo che in qualche punto è presente ancora della neve, residui della prima nevicata dell'anno avutasi la settimana scorsa: non siamo cattivi se lanciamo qualche palla di neve all'indirizzo di Mario, no?


Neve!

Superiamo di slancio il breve tragitto che conduce fino alla croce di vetta del "Monte Amandola": panorama S-T-U-P-E-N-D-O! 


La croce di vetta del "Monte Amandola". Sullo sfondo i "Monti Gemelli".

Guardando a Sud ci si trova di fronte all'immane profilo della Priora, guardando invece a Ovest già si vede nella sua interezza la lunga ed aguzza cresta che ci condurrà fin sulla vetta del Monte Acuto, voltandoci verso Est si vedono le colline della campagna marchigiana che degradano lentamente sul mare... 


Da sinistra verso destra le cime più importanti dei Sibillini: il "Monte Sibilla", il "Monte Priora" ed il "Pizzo Berro".

Da sinistra verso destra il "Pizzo Tre Vescovi" ed il "Monte Acuto".

Uno sguardo a Sud-Est dai prati sommitali del "Monte Amandola".

Leopardi aveva proprio ragione...
Nota negativa le nuvole che iniziano a coprire le cime delle montagne che ci circondano e che speriamo non riducano la visibilità nei momenti topici.


Si discute sul percorso. Grazie della foto ad Assunta.

Fotografie a iosa e poi giù per prati fino a raggiungere nuovamente la sella sopracitata: la traccia qui scompare ma il nostro obiettivo è di fronte a noi e la sua sagoma risalta tra i colori autunnali delle montagne. Ovviamente sto parlando del "Casale Grascete" che in pochi minuti di marcia raggiungiamo. Notiamo che è stato recentemente ristrutturato (scopriremo poi con i fondi della Comunità Europea) ed è tenuto in buono stato dalla civiltà e dall'educazione degli escursionisti che lo frequentano: entrati infatti constatiamo che è tutto perfettamente in ordine e pulito, c'è della legna per accendere un eventuale fuoco, ci sono delle sedie ed un piccolo tavolo dove è appoggiato un foglio in cui si invita a lasciare le cose come sono state trovate, il tutto sottoscritto da un certo Mauro. Che bello, le cose poi non vanno così male nel nostro povero paese: mi piacerebbe incontrare prima o poi questo Mauro e fargli i complimenti per quello che ha fatto.
Riprendiamo la marcia seguendo la strada imbrecciata posta poco sopra le fonti adiacenti il casale. Nei pressi di una piccola costruzione (dove la carrareccia termina) proseguiamo per prati fino a raggiungere la cresta che ha come estremi il "Monte Castelmanardo" a Est ed il "Monte Acuto" ad Ovest: siamo proprio nella zona di confine del Parco dei Sibillini e la nostra marcia prosegue, seguendo il filo di cresta, tra paletti e vecchie recinzioni ormai consunti. 


Fasi di discesa dal "Monte Castelmanardo".

Raggiungiamo la vetta del "Monte Castelmanardo" dove ci attende uno scarno omino di pietre: una piccola pausa per scattare fotografie e già iniziamo a scendere lungo la cresta che ci condurrà allo "Scoglio del Montone" prima ed al "Colle Bassete" poi. 


Dal "Monte Castelmanardo" al "Pizzo Tre Vescovi", tutta d'un fiato!

Qui il percorso inizia ad essere più aereo ed in alcuni punti la sottostante carrareccia che da Pintura di Bolognola conduce al rifugio del "Fargno" sembra essere molto vicina...
E qui facciamo degli incontri... Come dicevo ad inizio post non teniamo un'andatura forsennata (come mio solito) ed è così che veniamo raggiunti poco prima del "Colle Bassete" da una coppia di escursionisti e tu guarda il destino... 
Non sono proprio il "famoso" Mauro e sua moglie!? 


Incontri e quattro chiacchiere. Grazie della foto ad Assunta.

Facciamo quattro chiacchiere, diciamo otto: sui danni provocati dalle scosse di terremoto, sulla difficile situazione dei Sibillini, sulle nostre "imprese" alpinistiche e sullo stato del "Casale Grascete" curato da Mauro amorevolmente senza compenso alcuno.
Intanto il tempo passa... 


Da sinistra verso destra il "Monte Priora" ed il "Pizzo Berro", le nuvole iniziano a coprire le loro cime.

Però camminiamo e senza rendercene conto siamo già nei pressi della "Forcella Bassete" dove le nostre strade si dividono, con la promessa però di incontraci nuovamente... Il fato deciderà come e quando ci incontreremo con Mauro...


La parte iniziale della cresta di Nord-Est del "Monte Acuto".

In questo punto abbandoniamo il sentiero n.241, che procede alla nostra sinistra costeggiando la base del "Monte Acuto", ed iniziamo a seguire una flebile traccia che per prati si arrampica lungo l'affilata e ripida cresta che ci condurrà fin sulla vetta di quest'ultimo, niente a che vedere con quanto affrontato finora: ed è qui che inizia il bello!


Scorci... 

Facciamo una piccola merenda per ricaricare le pile ed iniziamo poi a salire... 
Non sto nella pelle, vado sempre in avanscoperta, action-camera accesa: mi comporto come un bambino al quale è stato regalato un nuovo giocattolo!


Il "Monte Castelmanardo" dalla cresta di Nord-Est del "Monte Acuto".

Ogni tanto mi fermo per aspettare gli altri... e poi via!


Proprio un bel percorso fino alla vetta!

In posa! Gianluca...

 ... Lucia ed Assunta.

Con questo tira e molla raggiungo la vetta: che dire, negli ultimi metri si devono mettere le mani a terra e guardando dietro le proprie spalle... bello! 


"Non c'è in natura una passione più diabolicamente impaziente di quella di colui che, tremando sull'orlo di un precipizio, medita di gettarvisi."
(Da "Il genio della perversione" di Edgar Allan Poe, 1845)
Mario e Lucia, due chiacchiere con il vuoto alle spalle, sullo sfondo il Pizzo Meta.

Mi sono proprio divertito!
Alla spicciolata arrivano gli altri miei compagni di ventura che neanche credono sia finita così in fretta, di trovarsi già in cima dopo aver superato dei passaggi non proprio semplici più che altro perché esposti.


Omino di pietre sulla vetta del "Monte Acuto". Grazie della foto ad Assunta.


Di seguito la carrellata con tutti i video registrati durante l'ascesa per la cresta di Nord-Est e sulla vetta del Monte Acuto:









Lungo la cresta di Nord-Est fino alla vetta del "Monte Acuto".

Una brevissima pausa e siamo di nuovo pronti per una ulteriore discesa, l'ultima da prendere con le molle, ossia quella per il versante di Sud-Ovest del "Monte Acuto" per arrivare alla sella tra quest'ultimo ed il "Pizzo Tre Vescovi". 


Dalla vetta del "Monte Acuto" uno sguardo verso Est.

In questo versante il terreno è più roccioso rispetto a quello esposto a Nord-Est e bisogna essere cauti, specie in un breve tratto dove ci sono dei passaggi di I grado. 



Discesa dal "Monte Acuto" da Sud-Ovest.

Memore dell'ultima volta in cui sono stato qui (Monte Acuto, Pizzo dei Tre Vescovi, Pizzo Berro e Monte Priora dalla Forcella del Fargno) individuo subito la via e così in pochi minuti siamo già scesi e pronti ad affrontare l'ultima salita della giornata ossia quella ci condurrà fin sulla vetta del "Pizzo Tre Vescovi". 


Poco sotto la vetta del "Monte Acuto", lato Sud-Ovest. Grazie della foto a Mario.

Purtroppo il meteo non ci sta dando una mano ed una fitta coltre di nuvole basse copre la parte sommitale di quest'ultimo e tutto quello che c'è a Ovest: in questo modo ci sarà preclusa la vista sulla "Val di Panico" che in Autunno ha dei colori magnifici (Pizzo Berro per la Val di Panico tramite la"Ferratina") e sul massiccio del Bove. Che sfortuna!


Il "Monte Acuto" dalla sella tra quest'ultimo ed il "Pizzo Tre Vescovi".

Il percorso da seguire fortunatamente non presenta alcuna difficoltà di rilievo: ho usato questo termine proprio perché qui, a differenza dei pochi residui incontrati in precedenza, il manto nevoso, specie in alcuni punti, inizia ad essere consistente. 


Nevai verso la vetta del "Pizzo Tre Vescovi", sullo sfondo il "Monte Acuto". Grazie della foto a Mario.

Chi vorrebbe indossare i ramponi per compiere solo pochi metri? Pericolo scongiurato!


Poco sotto la vetta, tra poco saremo completamente avvolti dalle nuvole.

Iniziamo la nostra salita tagliando il "Pizzo Tre Vescovi" in direzione Sud, per poi svoltare verso Ovest seguendo il filo di cresta della vetta: ormai manca davvero poco per arrivare in cima. Una cosa però stona, ossia non riesco ancora ad intravedere tra le nuvole la croce sommitale... 


Arrivo in vetta al "Pizzo Tre Vescovi".

Forse mi sbaglio, ancora sono troppo lontano...
Ed invece no!


La croce sommitale del "Pizzo Tre Vescovi".

La grossa croce metallica è stata letteralmente sradicata dal suolo e da quello che vedo escluderei che a causare tutto ciò siano state le scosse sismiche degli ultimi mesi (non sono presenti delle crepe nel terreno circostante) o l'opera di qualche vandalo... 
La causa secondo il mio punto di vista sta nel forte vento che c'è stato nelle giornate del 5 e 6 Novembre scorso (vedi Monte Priora dal Santuario della Madonna dell'Ambro con salita per la cresta di Sud-Est e discesa per quella di Nord-Est). Questa croce a differenza di quella del "Monte Priora" era ancorata al terreno solo tramite del cemento sulla sua base, non vi sono dei tiranti che distribuiscono simmetricamente le forti "tensioni" che si possono creare ad esempio con del forte vento.
Quando arrivano gli altri cerchiamo di sollevarla ma il peso è immane e poi senza l'opportuna attrezzatura ricadrebbe giù subito...
Questa constatazione ci rattrista e lo spuntino che facciamo sulla cima di questa montagna è uno dei più mesti e malinconici che abbia mai vissuto...
Circondati dalle nuvole, con la visibilità prossima allo zero il mangiare diventa un qualcosa di automatico, un atto necessario per ritemprare le sole forze e nulla di più...


Il "Monte Acuto" dal sentiero n.241.

Con il peso di un macigno sul cuore, dopo pochi minuti decidiamo di andarcene riprendendo il sentiero n.241 che stavolta seguiremo fino al "Casale Grascete" dove finalmente mangeremo qualcosa di più sostanzioso.
Scendendo, allontanandoci da quanto visto, complice anche la visibilità che verso Est migliora notevolmente, il nostro umore, da cupo e pessimista quale era divenuto, ridiventa gioviale e scherzoso: la nostra marcia deve continuare (il marciare come metafora del vivere per queste povere terre), ed in tal senso meglio farlo in allegria, no?
Dopo aver raggiunto nuovamente la "Forcella Bassete" invece di salire verso il "Monte Castel Manardo" stavolta scendiamo alla nostra destra, in direzione del "Casale Ara del Re", fino ad incrociare una carrareccia che in leggera ma costante salita ci condurrà proprio di fronte al "Casale Grascete". 
Come al solito in questo genere di tratti vengo preso dalla noia e se fosse per me inizierei a correre, fortuna le chiacchiere con Mario e l'allettante prospettiva che ho per il pranzo che tra poco arriverà...
Finalmente ci siamo, io e Mario abbiamo distaccato le ragazze e siamo già all'interno del casale dispiegando le nostre munizioni!
Dal mio zaino appare in un baleno una bottiglia di "Verdicchio dei Castelli di Jesi" (uno tra i migliori vini bianchi prodotti in Italia, ovviamente della Vallesina), da quello di Mario escono fuori nell'ordine della salamella e del salame di cinghiale...
Mancano solo pane e pizza che sono dentro lo zaino delle ragazze! 
Esco fuori e quando vedo spuntare la loro sagoma dalla strada non posso fare a meno di incitare la loro marcia: "Forza pigrone! Mancate solo voi!"
Ed il banchetto inizia...
Praticamente spazzoliamo via tutto quanto, vino compreso: poi Mario cala l'asse di briscola, ossia del vin cotto prodotto da lui (così come la salamella ed il salame di cinghiale, fantastici!) che a dispetto della gradazione alcolica "va giù pe' la gola che è 'na meraviglia!" (dialetto jesino).
Adesso chi ha voglia adesso di rimettersi in cammino?
Svogliatamente, molto svogliatamente riprendiamo la marcia, d'altronde l'oscurità in questo periodo cala molto presto e sinceramente non abbiamo voglia di percorrere gli ultimi tratti di sentiero al buio.


Verso il rifugio "Città di Amandola", tra poco farà buio.

Così in un modo o nell'altro riusciamo ad arrivare "sani e salvi" al rifugio "Città di Amandola": stretching defaticante e... 


Stretching! Grazie della foto ad Assunta.

"Il rifugio è aperto e l'atmosfera sembra accogliente, perché non andiamo a farci un'ultima birra?"
Secondo voi qual'è stata la risposta degli altri alla mia proposta?

P.S. Tengo a precisare che i sentieri seguiti in questa escursione a tutt'oggi non erano e non sono soggetti ad alcun divieto da parte delle autorità competenti in seguito agli eventi sismici dei mesi scorsi svoltisi nei Monti Sibillini.



Parte di percorso dal "Monte Amandola" fino alla "Forcella Bassete".

La cresta di Nord-Est del "Monte Acuto"



Link per album Fotografico su Google Foto




Galleria foto e video in preparazione.









martedì 21 marzo 2017

Croz dell'Altissimo e Cima Sophia da Molveno Invernale

"Riesco a percepire la mia essenza attraverso il battito del mio cuore: non so se provare meraviglia o spavento..."


Quattro Gennaio 2017
Partenza da Molveno (864m) ore 6:13
Rientro a Molveno ore 12:45
Durata escursione 6h 32' 
Lunghezza tragitto: 15,2km circa
Grado di difficoltà: EEi
Dislivello in salita: 1821m 
Dislivello in discesa: 1799m 
Vette raggiunte: 2339m Croz dell'Altissimo (Cima di Sud-Est, Croce Metallica), 2360m Croz dell'Altissimo (Cima di Nord-Ovest o Cima Sophia, Croce di Legno)
Quota massima: 2360m Croz dell'Altissimo (Cima di Nord-Ovest o Cima Sophia, Croce di Legno)
Dolomiti di Brenta su Wikipedia
Croz dell'Altissimo su Wikipedia



Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.
 


Percorso:
Dal centro di Molveno si raggiunge la stazione di arrivo della cabinovia Molveno-Pradel: si prosegue poi sulla destra salendo per via Panoramica; dopo un paio di tornanti si prende una carrareccia sulla sinistra che si infila dentro il bosco (segnavia). Si continua lungo questa strada fino ad arrivare a località Valbiole (1183m) dove la si abbandonerà in favore del sentiero SAT 352. Si prosegue ancora in mezzo al bosco fino a sbucare in una zona di sfasciume nei pressi dell'abbeveratoio chiamato "Albi del Mont" o "Fontanella" (1515m).
Si sale per ripidi prati raggiungendo un bivio dove si abbandona il sentiero SAT 352 in favore del SAT 344B  che punta in direzione Ovest. 
Poco sotto il "Passo dei Camosci" (loc. Albi di Mandrin) si giunge ad un quadrivio  dove il sentiero SAT 352B taglia perpendicolarmente il SAT 344B: procedendo sulla sinistra (SAT 352B) si può raggiungere il rifugio "La Montanara" (1525m); procedendo sulla destra ci si ricongiunge con il sentiero SAT 352 passando per il "Mantisello (1838m); proseguendo al centro si continua  per il sentiero SAT 344B che conduce al passo sopracitato. Si prosegue in direzione del "Passo dei Camosci" e, raggiunto quest'ultimo, si tiene la destra, in direzione del "Passo dei Lastèri" (2286m), che non si raggiungerà: infatti poco dopo si giunge nei pressi di un segnavia che indica sulla sinistra la vetta del "Croz dell'altissimo". Dopo un lungo traverso si giunge alla bocchetta tra le due cime che contraddistinguono la vetta del "Croz dell'altissimo": andando a sinistra si sale per la vetta principale (croce di ferro) passando per un traverso esposto prima ed arrampicando per facili roccette poi; andando a destra si sale per la facile vetta della "Cima Sophia" (croce di legno).
Per il ritorno è stato seguito lo stesso percorso in maniera inversa.



"Alcune strade portano più ad un destino che a una destinazione."
(Jules Verne)


Relazione:
E' ancora buio quando la sveglia suona, il materiale già tutto pronto, una veloce colazione e via! Questi giorni fa parecchio freddo e le previsioni per la giornata odierna prevedono temperature in ulteriore calo con rinforzi di vento da Nord: la nota positiva è che il cielo sarà sereno ed il mio sguardo potrà spaziare lontano quando giungerò sulla vetta della montagna che anelo ormai da qualche tempo. Non sono a casa, mi trovo a Molveno, bellissima località sulle Dolomiti di Brenta e l'obiettivo è quello di salire sulla cima di una montagna che ancora debbo scegliere: Croz dell'Altissimo, Piz Galin o entrambe? La prima parte di sentiero è comune quindi posso decidere cammino facendo. Sono stato già su quelle cime la bellezza di ventinove anni fa, nell'Agosto del 1988, con il mio amico Stefano di cui parlai nel post del 21 Agosto 2015 -  Escursione vie Ferrate "Bocchette Centrali" e "Spellini" del Gruppo delle Dolomiti di Brenta. Quella volta salimmo in estate, ora lo farò in pieno inverno, una stagione che però deve ancora decollare: la neve non è molta ed è presente solo a quote alte. Comunque a scanso di equivoci sono attrezzato di tutto punto, pronto ad affrontare qualsiasi tipo di condizione si prospetti. 
Alle ore 6:13 lascio il calduccio dell'appartamento che ci sta ospitando e vengo subito accolto da un freddo che dire pungente sarebbe riduttivo, percorro di buon passo ed in leggera salita le vie del centro di Molveno e mi dirigo verso la stazione di arrivo della cabinovia Molveno-Pradel.
Una volta lì proseguo alla mia destra salendo per via Panoramica e dopo un paio di tornanti noto sulla sinistra una carrareccia che si infila dentro il bosco: il segnavia presente sul bivio mi conferma che debbo svoltare proprio in questa direzione, è tempo di accendere la frontale e di abbandonare la sicura luce dei lampioni dell'illuminazione pubblica.  
La prima parte del percorso avverrà lungo una carrareccia (forse è riduttivo chiamarla così visto il suo ottimo stato di manutenzione), in mezzo al bosco, che mi condurrà fino a Valbiole dove prenderò poi il sentiero SAT n.352. 
Non mi aspettavo un buio così intenso ed avvolgente: dovrò conviverci almeno per un'altra ora...
Tra pochi minuti sarò sul sentiero vero e proprio e lì aumenteranno le difficoltà di orientamento in quanto non avrò più punti di riferimento. Anche se sono fornito della luce di una lampada a led, gli spazi illuminati saranno sempre circoscritti e utili solo a fornire informazioni necessarie per la sola progressione: mancherà infatti la visione di insieme per "inquadrare" il territorio circostante. Ovviamente in questo tipo di situazione tutti i sensi passeranno in modalità "vigile" proprio perché al buio cambia totalmente la "dimensione" di ciò che ci circonda: la completa immersione nel "rumoroso" silenzio del bosco infatti fa percepire dei suoni e dei rumori che magari di giorno passerebbero in secondo piano: lo scricchiolio dei rami degli alberi, il fruscio delle foglie mosse dal vento, il verso degli animali notturni ed il rumore prodotto dal loro movimento invisibile ai miei occhi...  
Ogni tanto la fredda luce della lampada svela coppie di occhi luminosi lungo la pista che mi osservano: non sono da solo, magari il buio me lo fa credere, ma non è così, sono in compagnia di animali che mi osservano e mi seguono nella mia marcia, presenze amiche e discrete... o no?
All'improvviso un forte battito di ali sopra di me, un grosso volatile che magari vuole fare la mia conoscenza.... Di primo acchito potrebbe vedermi come una preda...
Riesco a percepire la mia essenza attraverso il battito del mio cuore: non so se provare meraviglia o spavento...
Quando ci si distacca dal mondo delle percezioni, chiamiamole usuali, ci si può ritrovare catapultati in una dimensione indefinita, in una sorta di intimo contatto con se stessi, ed al buio, in mezzo al bosco, lontano dai nostri simili, tutto ciò può produrre un sentimento di angoscia, di irrequietezza, di paura... Questo accade per i pericoli che si percepiscono o che si immaginano e per il senso di oppressione dettato dalla stessa oscurità. 
In questa dimensione quello che si vive nella quotidianità viene messo in discussione, l'autocontrollo è al limite e quasi inconsciamente si tende ad accelerare il ritmo dei propri passi per uscire al più presto da questa tetra situazione.  
Tutto inutile, dovrò dominare questo stato d'animo ancora a lungo...
Quasi ad alimentare le fiamme del fuoco che è iniziato a divampare dentro di me, sento nei miei orecchi un pulsare che non è dovuto al solo battito del mio cuore, no, ascoltando attentamente percepisco il rullare di una batteria sorretto da una potente linea di basso che si sposa alla perfezione con un coinvolgente riff di chitarra... 
Altri occhi, stavolta cupi e fiammeggianti, appaiono dagli angoli più reconditi della mia mente... 
Arriva il Cane Nero...

La versione live di "Black Dog" tratta dal film-concerto "The Song remains the Same", registrato al Madison Square Garden di New York tra il 27 e il 29 Luglio 1973 durante la tournée per la promozione dell'album "Houses of the Holy".

Piccola parentesi musicale-horror-folckloristica

Black Dog (Cane nero)

Musica di Jimmy Page e John Paul Jones, testo di Robert Plant

Hey, hey mama said the way you move
Gon’ make you sweat, gon’ make you groove
Ah ah child way ya shake that thing
Gon’ make you burn, gon’ make you sting
Hey, hey baby when you walk that way
Watch your honey drip,
I can’t keep away

Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah

I gotta roll I can’t stand still
Got a flamin’ heart can’t get my fill
With eyes that shine, burnin’ red
Dreams of you all through my head

Ah ah ah ah ah ah
Ah ah ah ah ah ah ah

Hey baby, whoa my baby, my pretty baby
Darlin’ makes ‘em do it now
Hey baby, oh my baby, my pretty baby
Move the way you’re doin’ now

Didn’t take too long ‘fore I found out
What people mean by down and out
Spent my money, took my car
Started tellin’ her friends she gon’ be a star
I don’t know but I been told
A big legged woman ain’t got no soul

Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, yeah

All I ask for all I pray
Steady rollin’ woman
gon’ come my way
Need a woman gonna
hold my hand
Won’t tell me no lies,
make me a happy man

Ah ah ah ah ah ah
Ah ah ah ah ah ah, ah

Oh yeah
Darlin’ makes ‘em do it now
Yeah-yeah. yeah-yeah. yeah-yeah
Darlin’ makes ‘em do it now
Babe! babe!
Wooh, keep doin’ it babe

Darlin’ makes ‘em do it now
Darlin’ makes ‘em do it now


Hey, hey ragazza hai un modo di muoverti che
Ti farà sudare, ti farà godere.
Oh bimba ancheggi in un modo che
Ti farà scottare, ti farà pungere.
Hey baby, quando cammini così
Guardo tutta quella dolcezza,
non riesco a starne lontano

Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah

Mi sono innamorato, non posso rimanere fermo
Ho una fiamma nel cuore, non riesco a soddisfarla
Con occhi che brillano, bruciando come fuoco
Tutti i sogni nella mia testa sono per te

Ah ah ah ah ah ah
Ah ah ah ah ah ah ah

Hey piccola, mia piccola, dolce ragazzina
Cara muoviti, fallo adesso
Hey piccola, mia piccola, dolce ragazzina
Cambia la strada che stai percorrendo

Non ci misi molto a scoprire
Cosa significhi essere rovinato
Spendeva i miei soldi, usava la mia macchina
Diceva ai suoi amici che voleva essere una star
Io non lo so ma mi ha detto
Che una donna con grosse gambe non ha anima

Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, ah ah
Oh yeah, oh yeah ah, ah, yeah

Tutto ciò che chiedo quando prego
È trovare sulla mia strada
una donna molto innamorata
Ho bisogno di una donna
a cui piaccia stringermi la mano
Che non mi dica bugie
e mi renda felice.

Ah ah ah ah ah ah
Ah ah ah ah ah ah, ah

Oh, si
Cara muoviti, fallo adesso
Yeah-yeah. yeah-yeah. yeah-yeah
Cara muoviti, fallo adesso
Baby, baby!
Wooh, inizia a farlo, baby.

Cara muoviti, fallo adesso
Cara muoviti, fallo adesso

Traccia 1 dell'album "Led Zeppelin IV" (1971) dei Led Zeppelin

Tutti i testi sono coperti da copyright e sono di proprietà degli autori.

Il Cane nero ("Black Dog"), oltre ad essere il titolo di una famosissima canzone dei Led Zeppelin, è il termine con il quale è conosciuta una creatura notturna ricorrente nel folklore Anglosassone.

"... I Cani neri sono descritti come esseri soprannaturali dalla forma di grossi cani, con occhi fiammeggianti e pelo irsuto, dal colore nero o verde fosforescente. Sono fantasmi ritenuti messaggeri dell'oltretomba, quindi di cattivo augurio. Secondo le descrizioni, si muovono compiendo lunghi balzi sui sentieri di campagna, durante la notte. Gli occhi, che rosseggiano nel buio, indicano la ferocia della bestia. Chi incontra questa creatura, anche solo di sfuggita, o sente l'odioso scalpiccio delle sue zampe, sa che la sua fine è vicina. L'idea di questi cani mostruosi deriva dalla demonologia medievale, che aveva spesso visto nei gatti, nei cani e nei caproni neri i famigliari delle streghe, nonché le forme tipiche in cui spesso si rappresentava il Demonio.
La superstizione riguardo a queste creature notturne è diffusa in molte zone rurali della Gran Bretagna. Forieri di morte, sono conosciuti con nomi differenti a seconda delle zone."

(fonte Wikipedia)

Con il connotato sopra descritto, l'espressione è arrivata nella letteratura inglese contemporanea e l'opera più conosciuta basata sulle leggende dei cani neri è "Il mastino di Baskerville" di Sir Arthur Conan Doyle.  Il seguente estratto dal romanzo sopracitato riporta una delle numerose descrizioni della creatura spettrale:

"...accanto al corpo di Hugo, con le zanne ancora affondate nella gola sbranata, c'era un essere orrendo, un'enorme bestia nera, simile a un mastino ma assai più grande di qualsiasi mastino si sia mai visto al mondo. E mentre lo guardavano sbigottiti, quella creatura dilaniò con uno strappo la gola di Hugo Baskerville volgendo verso di loro gli occhi fiammeggianti e le fauci grondanti di sangue."

(da "Il mastino di Baskerville", Capitolo II)

Nel corso dei secoli però, metaforicamente, il Cane Nero ha mutato la sua connotazione fantastica ed ora l'immagine al quale si associa è quella relativa ad uno stato d'animo depresso, turbato. In particolare nel romanzo "Ivanhoe" di Sir Walter Scott viene per la prima volta creata questa "associazione" tra il "Black Dog" e l'inquietudine dell'animo umano, che ritornerà in futuro in romanzi di altri autori quali Robert Luis Stevenson nel "Isola del Tesoro", Charlotte Brontë in "Jane Eyre" e, fino ai giorni nostri, con Paulo Coelho ed il suo romanzo "Il Cammino di Santiago" tanto per citarne alcuni. 
Quasi per esorcizzare questa ridda di pensieri che vorticano nella mia mente mi viene in aiuto il testo della canzone che parla di tutto tranne che di creature demoniache, infatti si racconta di un individuo che non riesce a togliersi dalla testa una donna che l'ha mollato per inseguire sogni di gloria: "Non ci misi molto a scoprire cosa significhi essere rovinato, Spendeva i miei soldi, usava la mia macchina, Diceva ai suoi amici che voleva essere una star."
Ne consegue che il pover'uomo, piantato di punto in bianco, si sente depresso, soffre e spera di trovare una donna che gli voglia veramente bene:" Tutto ciò che chiedo quando prego è trovare sulla mia strada una donna molto innamorata, Ho bisogno di una donna a cui piaccia stringermi la mano, Che non mi dica bugie e mi renda felice."
Niente a che vedere quindi con il significato più oscuro del "Black Dog" che comunque è "esistito" ed ha ispirato il nome della canzone. 
Nel 1971 i Led Zeppelin si erano ritirati presso la campagna londinese, precisamente a Headley Grange (in una struttura abbandonata che aveva ospitato anche un manicomio) per iniziare a registrare il loro quarto album. Ebbene, alcune testimonianze raccontano che nei pressi di questo luogo si aggirava un grosso cane nero che, nonostante fosse randagio, era sempre pulito e con il pelo liscio, come un cane domestico; nessuno osava avvicinarsi alla bestia perché questa iniziava ad abbaiare e a rincorrere chiunque. Quando arrivò la band non ci fu alcun problema di sorta e anzi, bisogna aggiungere che il grosso cane nero (un labrador precisamente) aveva uno strano rapporto con Robert Plant: secondo quanto riportato dal custode dell’ex manicomio, il cantante fu l’unica persona da lui conosciuta che riuscì ad avvicinarvisi e ad accarezzarlo. Ma la cosa più strana ed inquietante è che il cane sparì una volta terminata la registrazione del disco...
A proposito di cani mi viene in mente una vecchia storia che mio nonno mi raccontava da ragazzino e a tal proposito bisogna fare un salto indietro nel tempo di quasi cento anni.
Siamo intorno agli anni '20 del secolo scorso e la maggior parte della popolazione italiana viveva perlopiù nelle campagne lavorando la terra, l'industrializzazione sarebbe arrivata di lì a poco con tutto quello che ne sarebbe conseguito. Specialmente nella mia regione (Marche, per chi non lo sapesse) le persone vivevano in grosse case di campagna chiamate case "coloniche": le famiglie vi abitavano e lavoravano ma non erano proprietarie né delle case stesse, né del fondo perché vincolate con il proprietario dal così detto contratto di mezzadria.
Questo tipo di rapporto produttivo si diffuse a partire dal basso Medioevo in varie parti d'Europa, ed Italia fu inquadrato nel sistema feudale in regioni quali la Romagna, le Marche, la Toscana e l'Umbria.
Questa situazione non comportava il pagamento di un affitto concordato per l'utilizzo della casa e del terreno, bensì la consegna di una parte del raccolto; per contro il proprietario si impegnava a partecipare nella medesima misura a pagare le spese relative ai prodotti per la lavorazione, di manutenzione della casa ecc...
Se da un lato questo contratto si adattava meglio ad eventuali annate di crisi, dall'altra imponeva al mezzadro di produrre almeno il doppio di quanto era necessario per la sussistenza della famiglia anche negli anni in cui il raccolto era scadente.
Il controllo sui coloni nella maggior parte dei casi era affidato ad una persona fidata del proprietario chiamata comunemente "fattore". 
Una vita d'altri tempi dove i ritmi erano dettati dalla natura, magari una vita povera in termini di beni materiali ma indubbiamente ricca guardando tutti gli altri aspetti: come mi è stato raccontato più volte la "fatica era tanta perché la terra è bassa" ma la parola stress era sconosciuta ed indubbiamente tutto era più sano ed oserei dire normale e questo contesto di miseria sicuramente univa di più le persone.
In questo stato delle cose dove le poche notizie arrivavano per passaparola, si andava in città solo per necessità, la scuola si frequentava fino alla terza elementare e l'unico momento di aggregazione sociale era la messa della Domenica (in latino con il prete rivolto verso l'altare durante la funzione), uno dei pochi attimi in cui si evadeva era quando si raccontavano le storie tutti seduti attorno al focolare: le classiche favole quando i bambini erano ancora svegli ed i racconti del sovrannaturale quando i più piccoli erano a letto già da un po'.

"... Ascoltate cosa mi è successo l'altra sera quando tornavo con il carro dal campo dove sono piantate le barbabietole, si, quello più lontano, al confine con la terra di....
Erano poco dopo le otto ed il sole era calato da qualche minuto, stavo percorrendo il tratto in salita, quello dove bisogna incitare i buoi allo sfinimento per farli muovere con il carro a pieno carico, quando, nei pressi del canneto dove c'è la fonte dell'acqua, vedo venirmi incontro un cagnoletto: ero a terra e camminavo a fianco ai buoi, non volevo gravare ulteriormente con il mio peso sul grosso carico che stavano trainando. La bestiolina era graziosa e a farmela rendere simpatica oltre alle feste che mi faceva era il fatto che zoppicava. Lo prendo in braccio e questi mi lecca affettuosamente: di chi è questo cane? Mi sembra non sia dei vicini, da dove sarà scappato? Boh... Senza pensarci due volte lo carico sul carro, cosa vuoi che siano 5 o 6 Kg in più per i buoi!  
Non l'avessi mai fatto, le povere bestie non riescono più a muoversi ed iniziano a muggire come impaurite...
Urla e frustate a nulla valgono, i buoi si sforzano all'inverosimile ma non riescono a fare un passo: le cinghie sono tese come se sul carro ci fosse una montagna da trainare...
Che una ruota si impunti in qualche sasso? Mi abbasso a terra ma la pista è pulita...
Quando sollevo nuovamente lo sguardo i miei occhi incrociano quelli del cane a pochi centimetri dalla mia faccia e quello che vi vedo dentro mi fa cadere all'indietro...
Non vi è più la gioia e l'affetto di qualche minuto prima, no, in essi vedo solo un qualcosa di cattivo e di maligno, come delle fiamme che piano piano crescono di intensità...
Mi allontano sempre di più, strisciando sui talloni, gli occhi fissi su quelli del cane: alla fioca luce del crepuscolo ardono di luce propria, sempre di più...
Un grosso rumore, uno schiocco, le cinghie della pariglia si sono spezzate ed i buoi, finalmente liberi dal giogo, fuggono nella campagna...
Il carro si ribalta, le barbabietole faticosamente caricate sono in ogni dove... ed il cane? 
Avanzo lentamente verso il carro: vorrei fuggire a gambe levate come hanno fatto i buoi ma devo scoprire che fine ha fatto il cane, magari è rimasto schiacciato dalle barbabietole o dal carro stesso... Dovrò caricarle tutte nuovamente!
Prendo la pala che tengo agganciata al carro e ne smuovo un po' ma del cane nessuna traccia... Che mi sia immaginato tutto? Forse le cinghie si sono rotte perché ho caricato troppo il carro? Magari il cane me lo sono immaginato, a volte la stanchezza e la fame fanno dei brutti scherzi... Andiamo a recuperare i buoi e poi torniamo a casa: sai come si arrabbierà mio padre per il lavoro sprecato e le cinghie rotte!  
Mi volto e mi dirigo nella direzione dove sono fuggiti gli animali preparandomi a quello che dovrò affrontare quando arriverò a casa... All'improvviso i miei occhi incrociano nuovamente quelli del cane...
Sono paralizzato dal terrore, non riesco a muovere un solo muscolo...
Adesso brillano più di prima e sono rossi come tizzoni ardenti: l'essere al quale appartengono non è più il docile cagnolino che vidi qualche minuto fa, no, è una creatura molto più grande che ora spalanca le sue fauci in una sorta di ghigno diabolico, con un ringhiare che sembra salire dalle viscere del sottosuolo... 
Preso dalla disperazione e da una paura che non avevo mai provato, istintivamente lancio con tutta la forza che ho la pala su quelle fauci...
Il ringhio si trasforma in un urlo di rabbia e di dolore e già le mie gambe percorrono di corsa l'ultimo pezzo in salita della collina: intorno a me una luce, come quella di un grosso incendio, ad illuminare a giorno tutta la zona...
Non mi volto, non voglio voltarmi, l'unico pensiero che ho adesso è quello di correre il più velocemente possibile: devo fuggire da tutto questo orrore!
Pian piano il verso della bestia diviene un sibilo, sempre più acuto ed intenso...
Non riesco a resistere, mi volto continuando a correre...
Vedo la bestia avvolta dalle fiamme e da essa sale una colonna di fuoco fin su nelle vastità del cielo, a perdita d'occhio...
D'un tratto un colpo, forte e poi il buio, nero...
Mi risveglio, la mattina dopo senza neanche ricordare come mi chiamo: ho del sangue appiccicoso che mi è colato dalla fronte sugli occhi... Sono ai piedi di una grossa quercia, durante la fuga avrò sicuramente sbattuto contro il suo tronco...
Fuga? ... Adesso ricordo, il cane!
Calma, calma... E' giorno, non c'è più niente...
Torno verso il carro, lontano poche decine di metri dal punto in cui mi trovo: che confusione, il carro ribaltato, i buoi finiti chissà dove , le barbabietole sparse qua e là...
Non lo so, non sono più sicuro di nulla, come può essere accaduto quello a cui ho assistito?
Forse ho sognato tutto, l'unica spiegazione è questa... E' stato un sogno, un brutto sogno, mi lascio troppo suggestionare da quello che ci dice il prete riguardo il demonio...
Ma, un momento! Cosa è stato a bruciare tutta quell'erba sul bordo della strada? 
Cosa ha provocato quel grosso cerchio nero?
No, no, forse c'è una spiegazione, magari è stato acceso un fuoco proprio qui nei giorni scorsi... Boh, diciamo che è andata così...
Iniziamo a raccogliere le barbabietole e poi andiamo a cercare i buoi...
La pala? Non è dove la metto di solito sul carro... Si, l'ho lanciata a quella creatura nel sogno, vediamo se è da qualche parte qua intorno.
Proprio sul bordo del cerchio annerito dalle fiamme noto un pezzo di metallo informe: lo raccolgo, ancora è caldo... 
Una sensazione di sconforto mi prende fino al midollo...
Non è stato un sogno, questa ne è la prova, questo è quel che resta della pala..."

Questa è una delle tante storie raccontate dal mio bisnonno che mi sono state tramandate da mio nonno...
Chiusa parentesi musicale-horror-folckloristica.

Su queste note, ritmate dal battito del mio cuore, e con questi cupi pensieri continua quindi questo viaggio, si, una sorta di viaggio iniziatico perché questa è divenuta una prova per superare i miei limiti istintivi. Adesso ad ogni rumore ho un sussulto, vedo ogni ombra come una minaccia: sono pronto a credere a tutto ciò che sembra apparirmi davanti... 
Vedo il Cane Nero ovunque...
Purtroppo l'autosuggestione è un sentimento che riesce a pervaderci e ad alimentare la nostra sensazione di essere indifesi.
Spesso la mano destra abbandona il bastoncino e corre veloce verso l'impugnatura della piccozza che tengo sullo zaino: potrei sfilarla in una frazione di secondo, ma fortunatamente non devo arrivare a tanto.
Questa però non è solo una questione di autosuggestione, il "Black Dog" non c'entra nulla, qui tutto è tangibile e pericolosamente reale ed aggiungo potenzialmente letale...
Infatti la luce della mia frontale poco fa si è posata su uno dei cartelli del "Parco Naturale Adamello-Brenta" che indica che questa è una "Area di presenza dell'Orso"...
Ma non dovrebbero essere in letargo in questo periodo?
Proprio adesso che abbandono la relativa sicurezza della carrareccia  ed inizio a seguire il sentiero (SAT n.352) che tra due alti abeti (quasi piantati lì apposta a mo' di portale) va ad infilarsi sempre di più nel fitto della boscaglia... 
Sfida su sfida...

Piccola parentesi naturalistica-giornalistica

Da "La Stampa" del 12 Giugno 2015

Aggredito da un orso: “Pensavo mi uccidesse. Adesso devono fermarlo”
E a Trento si riaccende lo scontro sugli animali

Orsi in Trentino, ci risiamo. Ma questa volta la faccenda è molto più seria. Perché il podista aggredito mercoledì sera nei boschi sopra Cadine se l’è vista davvero brutta, molto più brutta di quanto non fosse successo l’anno scorso all’uomo colpito dall’orsa Daniza, poi morta nel corso di un tentativo di cattura da parte dei forestali: «Pensavo che mi uccidesse», mormora Wladimir Molinari dal suo letto di ospedale, ferito ad un braccio, al tronco, privo di due denti e con il cuoio capelluto aperto da un morso. 
La faccenda è molto più seria perché il luogo dell’aggressione non dista nemmeno 10 chilometri da Trento ed è tradizionale meta dei picnic domenicali. È per questo che il presidente della Provincia Autonoma Ugo Rossi ha firmato un’ordinanza che prevede la cattura e la messa in cattività o, nella peggiore delle ipotesi, l’abbattimento dell’animale.  
L’aggressione. Mercoledì pomeriggio, ore 17. Wladimir Molinari, 45 anni, sta correndo assieme al suo cane nei boschi che sovrastano l’abitato di Cadine, frazione di Trento. L’uomo è un podista provetto, si sta allenando per i suoi «ultra trail». L’orso se lo ritrova accanto da un momento all’altro e non ha nemmeno il tempo di provare a scappare. Subisce unghiate e morsi ad un braccio, al busto, al volto ed alla testa, ma riesce a far allontanare l’animale sbattendo un bastone a terra e urlando. Poi scappa e, aiutato da un ciclista, raggiunge l’azienda agricola dove sarà individuato dall’elisoccorso e trasferito all’ospedale di Trento. Dopo una notte sotto i ferri, Molinari ha la fortuna di poter raccontare la sua disavventura. 
Il racconto. «Ad un certo punto sento dei rumori dietro di me e c’era l’orso che mi stava seguendo a circa 10 metri. Ho fatto come dicono di fare, mi sono fermato ed ho alzato le braccia gesticolando e urlando, ma l’orso mi ha attaccato mordendomi. Sono riuscito a mollare il cane, che ha cercato di scacciare l’orso, ma quello è dieci volte più grande. Mi stava mordendo la faccia, gli ho preso le orecchie ed ho cercato di allontanarlo, senza riuscirci. Ad un certo punto ho trovato un pezzo di legno, l’ho preso in mano, lui si è spostato di circa dieci metri, ma poi si è fermato e stava tornando verso di me. Allora ho preso il legno, l’ho sbattuto per terra e ho continuato ad urlare. Ero convinto che mi avrebbe ucciso con un’ultima zampata, invece è sparito». 
La speranza degli amministratori locali è che l’orso sia lo stesso che poche settimane, nei boschi che sovrastano Zambana Vecchia, ha assalito un altro podista. Così non fosse, gli «orsi problematici» sarebbero almeno due e prenderebbero fiato le proteste delle opposizioni che, per bocca del consigliere provinciale della Lega Nord Maurizio Fugatti, chiedono la revoca del progetto Life Ursus. Non più pressato dagli animalisti (l’anno scorso avevano invaso il Trentino per protestare contro la «caccia» a Daniza, almeno fino a ieri sono rimasti in silenzio) dopo l’audioconferenza con il ministero dell’Ambiente e l’Ispra il presidente della giunta provinciale ha lasciato intendere di essere pronto a introdurre dei limiti – oggi non previsti – al numero di esemplari presenti sul territorio (attualmente una cinquantina).  
Dipendesse da Wladimir Molinari, lui non avrebbe dubbi. «Io non sono mai stato contrario agli orsi – dice - Adesso però ritengo che quest’orso vada almeno catturato, perché è troppo pericoloso. Come ha fatto del male a me può farlo a qualsiasi altra persona. Non spetta a me decidere, ma la gente ha il diritto di vivere in sicurezza». 

Da "La Repubblica - Ambiente" del 3 Marzo 2016

"La storia di una convivenza non facile ma quasi ventennale tra l'uomo e l'orso, in un territorio naturale unico e fortemente antropizzato: il Trentino Occidentale. Una popolazione di plantigradi che adesso è di 40-50 esemplari"
di Marco Angelillo

Questa è la storia di una convivenza quasi ventennale tra l'uomo e l'orso, in un territorio naturale unico e fortemente antropizzato: il Trentino Occidentale. È una storia di convivenza tra diversi, dunque una storia non facile. L'homo sapiens, d'altronde, fa fatica anche a convivere con individui della sua stessa specie. L'uomo da una parte, anzi ovunque, con le sue esigenze di libertà, sicurezza, dominio assoluto sugli eventi e sulla natura; l'orso, dall'altra, il grande predatore europeo, praticamente scomparso dalle Alpi, reintrodotto grazie a uno dei più importanti progetti naturalistici italiani ed europei. Un successo, dal punto di vista biologico. Una sfida culturale e sociale ancora tutta da giocare.
Life Ursus. L'orso bruno, in realtà, non è mai scomparso dal Trentino, unica zona delle Alpi a poter vantare una continuità plurisecolare della sua presenza. Il regime di protezione, istituito a partire dal 1939, non ha però scongiurato il rischio estinzione. La persecuzione diretta da parte dell'uomo e, in misura minore, le modificazioni ambientali intervenute negli ultimi due secoli, hanno ridotto l'originaria popolazione a soli tre-quattro esemplari confinati nel Brenta nord-orientale: gli ultimi grandi plantigradi delle Alpi. Era la fine degli anni Novanta del Novecento quando qualcuno pensò e mise in atto il progetto Life Ursus, cofinanziato dall'Unione Europea. Tra il 1999 e il 2002 vennero rilasciati 10 orsi (3 maschi e 7 femmine) provenienti dalla Slovenia, che hanno originato la popolazione attuale di 40-50 esemplari.
Detta così sembra un'operazione facile, ma favorire l'insediamento, la riproduzione e l'aumento della popolazione di un predatore così grande in valli che lo ospitavano storicamente, ma che accolgono anche centinaia di paesi, non è stata un'impresa da poco. C'è voluto l'impegno costante e continuativo della più estesa area protetta del Trentino (il parco naturale Adamello-Brenta), della Provincia autonoma e dell'Ispra, per avviare e proseguire il progetto. E l'orso si è insediato, ambientandosi bene nei boschi di latifoglie, nelle peccete, nei lariceti; tra il ghiacciaio Adamello-Presanella, uno dei più grandi d'Europa, e le rocce calcaree delle Dolomiti di Brenta. Qui ha trovato il suo habitat, le sue tane invernali, il cibo per sopravvivere e da qui sta espandendo il suo territorio di caccia: gli spostamenti accertati hanno interessato province e Stati limitrofi. Esemplari trentini sono stati avvistati in provincia di Bolzano, sull'Altopiano di Asiago, nel Bergamasco, a Tremosine sul lago di Garda, sul Monte Baldo veronese, in Austria, Svizzera e Germania. Sono soprattutto i maschi a spostarsi moltissimo: si stimano home range medi di oltre 2.000 chilometri quadrati. Al contrario di lupi e linci gli orsi non sono animali territoriali: migrano stagionalmente. Come l'orso che dal Bellunese è arrivato nella zona del Brenta nella stagione degli amori. Altri casi confermano, tragicamente, l'assunto: sono quelli dei tre orsi trentini abbattuti in Germania (2006) e in Svizzera (2008 e 2013).
L'uomo e l'orso. I grandi spostamenti di questi mammiferi, inevitabilmente, portano all'incontro con gli uomini. E imbattersi in un animale che può pesare anche 250 chili, alto 2 metri e mezzo (come un autobus), che corre a 50 chilometri l'ora, nuota e si arrampica sugli alberi, può indubbiamente costituire un'esperienza unica. "I plantigradi hanno sorpreso chi non si aspettava che si comportassero da orsi", afferma Andrea Mustoni, biologo e zoologo del Parco Adamello-Brenta. Il venir meno del consenso sociale sul territorio è il più concreto scoglio del progetto orso: nel 2011 il livello di accettabilità e consenso all'interno della popolazione era sceso drasticamente (30,3% i favorevoli, 64,6% i contrari) rispetto ai primi anni del progetto, quando la stragrande maggioranza era pro-orso: nel 1997 era il 73%.
Claudio Groff, esperto di orsi, lavora per il Servizio foreste e fauna della Provincia di Trento ed è convinto che la conoscenza sia alla base della convivenza: "Dobbiamo sconfiggere l'ignoranza, perché fa aumentare timori e pregiudizi". Saper accettare qualche scomodità e qualche paura è il prezzo da pagare per beneficiare di una ricchezza ambientale assoluta.
"Per la convivenza uomo-orso la questione sociale è fondamentale. E dipende tutto dall'uomo". In realtà anche gli orsi, in Trentino, devono accettare qualche limitazione alla loro vita selvaggia. Le azioni di dissuasione nei confronti degli individui più aggressivi possono arrivare fino all'abbattimento dell'animale "per poter salvare la specie stessa, sempre nel rispetto della direttiva UE Habitat", chiosa Groff.
Rapporto orso. A proposito di conoscenza, il Servizio foreste e fauna della Provincia di Trento pubblica annualmente il "Rapporto orso", sulla situazione dell'orso bruno e sull'attività di gestione. L'obiettivo è duplice: da un lato fornire una corretta informazione, aggiornata e dettagliata sullo status della piccola popolazione che gravita in Trentino e nelle regioni adiacenti, dall'altro registrare in maniera sistematica una serie di dati necessari agli addetti ai lavori. A partire dal 2003, la Provincia ha avviato anche una specifica campagna di informazione denominata "Conosci l'orso bruno". In questa attività di comunicazione il Servizio foreste e fauna è stato sempre affiancato dal Parco naturale Adamello Brenta e dal Museo delle scienze di Trento, focalizzato sulle attività didattiche per le scuole. A Trento e dintorni, dunque, si fa di tutto per provare a radicare nella cultura e nella vita della società la presenza dell'orso. Un'operazione forse più ardua della reintroduzione naturalistica.
Cani da orso. E dove l'informazione non basta, entra in gioco il miglior amico dell'uomo. I cani rappresentano un utile strumento per la gestione di situazioni critiche come la dissuasione di orsi problematici o le verifiche a seguito di investimenti o danni al patrimonio zootecnico. Nel 2014 sono stati attivati in più di 20 azioni, tra le quali anche attività di antibracconaggio e controlli di tane.
A due passi dalla città. Trento, adagiata sulla valle dell'Adige, non è proprio un luogo selvaggio, e non lo sono nemmeno le montagne più prossime alla città. Non lo è la Paganella, il comprensorio sciistico con vista mozzafiato sulle Dolomiti di Brenta, raggiungibile in mezz'ora dal capoluogo. Eppure anche qui vive l'orso: passeggia per i boschi e i prati che circondano Andalo, Fai, Molveno, lascia le sue tracce e fa parlare di sé. Gli operatori turistici da una parte lo temono, ma dall'altra l'hanno un po' adottato. L'orso si presenta come un affare per il turismo: nel maggio 2011 il gruppo di ricerca dell'Università di Trento coordinato da Marco Ciolli ha stimato il suo valore pubblicitario: 11 passaggi sulle tv nazionali in tre settimane equivalgono a un investimento di 360 mila euro.
In Europa. Uomo e grandi carnivori possono convivere sulle Alpi, anche se le nostre valli non hanno mantenuto la stessa wilderness della Siberia. Basta trovare il giusto punto di equilibrio. Questo il messaggio che il Trentino diffonde in Europa. Gli effetti del ritorno del lupo e dell'orso sull'agricoltura di montagna e sull'allevamento, per esempio, sono stati oggetto di un recente confronto internazionale tra Baviera, Austria, Svizzera, Italia e Francia e il Trentino ha fatto scuola. È ancora Groff a parlare: "È importante considerare le altre esperienze continentali e scambiarsi le buone prassi. Esistono molti progetti di successo in Spagna (nelle Asturie), in Abruzzo, sui Pirenei, in Slovenia. Ed esistono anche casi di fallimento (in Stiria, Austria) o di crescita troppo lenta (Francia)". La rete transfrontaliera consolidatasi negli anni e il coordinamento con gli altri Stati e Regioni sono elementi essenziali per il successo delle politiche ambientali. Numerose iniziative europee consentono la circolazione delle idee e dei finanziamenti. Qualche esempio: il progetto Life Dinalp Bear, con capofila il Servizio foreste sloveno e alcuni partner austriaci, croati e italiani; la Piattaforma grandi carnivori della Convenzione delle Alpi; le azioni per la gestione dei grandi carnivori coordinate dalla Commissione europea.
Uno degli obiettivi di lungo periodo è quello di spalmare la popolazione degli orsi lungo tutto l'arco delle Alpi e provare a riunire gli esemplari alpini a quelli balcanici. Idea lungimirante che ci svela una verità: per sopravvivere, a volte, occorre migrare.
Chiusa parentesi naturalistica-giornalistica.

Dopo quella che a me pare una infinità di tempo il sentiero sbuca fuori dal bosco e continua a salire lungo una zona di sfasciume: sono giunto nei pressi dell'abbeveratoio chiamato "Albi del Mont" o "Fontanella" (1515m).
Pian piano la luce sta crescendo di intensità, posso spegnere la frontale e lavare via tutte le paure che hanno accompagnato questa "lunghissima" ora trascorsa in mezzo al buio del bosco... 
Sembra di essere rinati, ora con la luce naturale tutto assume un altro aspetto.


La tenue luce dell'aurora sulla "Paganella".

Come dicevo il sentiero risale un ampio canalone che nei precedenti inverni è stato spazzato da delle valanghe: la pista non presenta ostacoli ma la parte centrale di questa piccola vallata è costellata da una miriade di alberi spezzati.


Lungo il canalone.

Proseguendo su ripide rampe erbose raggiungo il bivio con il sentiero SAT 344B dove abbandono il sentiero SAT 352, che prosegue verso Est in direzione del Piz Galin, in favore del già citato sentiero SAT 344B, che punta invece verso Ovest. Superata una quota all'incirca di 1800m il bosco si è via via diradato, fino a scomparire del tutto, lasciando spazio a bassi pini mughi.


Nei pressi del "Passo dei Camosci".

Poco sotto il "Passo dei Camosci" (loc. Albi di Mandrin) ho raggiunto un quadrivio  dove il sentiero SAT 352B taglia perpendicolarmente il SAT 344B: procedendo sulla sinistra (SAT 352B) si può raggiungere il rifugio "La Montanara" (1525m); procedendo sulla destra ci si ricongiunge con il sentiero SAT 352 passando per il "Mantisello (1838m); proseguendo al centro si continua  per il sentiero SAT 344B che conduce al passo sopracitato. Ovviamente la mia marcia prosegue in direzione del "Passo dei Camosci" e, raggiunto quest'ultimo,  proseguo tenendomi sempre sulla destra, stavolta in direzione del "Passo dei Lastèri" (2286m), transitando per una zona di rocce crepacciate, che non raggiungerò: infatti raggiunto un segnavia che indica sulla sinistra la vetta del "Croz dell'altissimo" proseguo in questa direzione. 


Il bivio per la vetta del "Croz dell'altissimo".


Verso la bocchetta tra le cime del "Croz dell'altissimo".

Verso la bocchetta tra le due cime del "Croz dell'altissimo".

Mi ostino a non voler indossare i ramponi, non so perché ma non amo effettuare soste durante una escursione: poco dopo però ho dovuto desistere, qui la quantità di neve a terra inizia ad essere consistente ed il pendio sempre più accentuato, meglio non correre rischi!


Panoramica verso Ovest dalla bocchetta tra le due cime del "Croz dell'altissimo".

In pochi minuti raggiungo la bocchetta tra le due cime del "Croz dell'altissimo": quella alla mia sinistra (Sud-Ovest) è la più nota e diciamo la più impegnativa da raggiungere e presenta sulla sua sommità una croce metallica; quella alla mia destra invece (Nord-Est) sicuramente più semplice da raggiungere, presenta una croce di legno sulla quale è impresso il nome di "Cima Sophia". 


Panorama mozzafiato: il Brenta Meridionale e la "Valle delle Seghe".

Non perdo ulteriore tempo e già mi sto dirigendo verso il delicato traverso che costeggia la base rocciosa del "Croz dell'altissimo": ricordavo questo punto che in condizioni normali richiede attenzione vista l'esposizione, in condizioni invernali invece bisogna procedere con molta cautela vista l'esile striscia di neve da attraversare che è l'unico vincolo contro la forza di gravità. Procedo sfiorando con il petto le alte rocce, spalle al vuoto, praticamente senza appigli per le mani... 


Dalla sella tra le due cime fino alla vetta!

E' fatta!
Procedo di qualche metro quando la pista innevata diventa ancora più esile ma qui l'altezza delle rocce è fino alla vita: gli appigli per le mani in questo caso non mancano, anche questo passaggio è archiviato.
Continuo in questa direzione finché la pista svolta repentinamente a destra inerpicandosi per la breve cresta che mi condurrà fino alla vetta: ci sono dei bei passaggi di primo grado che affronto con divertimento, ormai il peggio e passato ed inizio a godere della splendida vista che si sta dipanando di fronte ai miei occhi...


Dalla vetta il Brenta in tutto il suo splendore ed i miei ramponi quanto mai necessari.

In prossimità della croce di vetta il panorama si apre in maniera spettacolare a 360° e spazia dal sottostante Lago di Molveno e sulla Paganella fin sulle alte vette del Brenta meridionale: uno spettacolo meraviglioso, unico che è valso tutta la fatica ed i rischi sinora affrontati. 
Croz dell'altissimo, 2339m invernale!


Panoramica video dalla vetta del "Croz dell'altissimo".

Mi affaccio verso Sud-Ovest dove la parete rocciosa precipita a strapiombo per novecento metri sulla sottostante "Valle delle Seghe" e la mia mente già corre e va agli alpinisti che per primi si sono cimentati con questa ascesa (gli italiani Angelo Dibona - un tratto della via delle "Bocchette" è dedicata proprio a lui - e Luigi Rizzi con i viennesi Guido e Max Mayer il 16 agosto 1910, superando passaggi di V grado e V+).
Che coraggio, se pensiamo poi al materiale che avevano... Al solo pensiero mi vengono i brividi... 


Il lago di Molveno dalla vetta del "Croz dell'altissimo".

E' giunto il tempo di fare una piccola pausa con annesso spuntino, ho bisogno di energia: il tè caldo e la frutta secca che non mancano mai nel mio zaino riescono in pochi minuti a ricaricare le pile  e, il tempo di fare alcune fotografie e filmati, già sto disarrampicando per la cresta sommitale del Croz dell'altissimo.
Terminato il percorso in cresta svolto alla mia sinistra preparandomi ad affrontare, stavolta in discesa, i due passaggi delicati superati pochi minuti prima.
Il primo, quello più stretto ma con appigli, scivola via subito, il secondo invece è sempre da affrontare con la massima calma e concentrazione: niente, non c'è alternativa, si deve fare solo affidamento sui ramponi e la neve...
Anche questo passa, ora posso finalmente abbassare (di poco...) la soglia di guardia.


La cima del "Croz dell'altissimo" vista dalla bocchetta tra le due vette.

Ho deciso che non allungherò fino al Piz Galin passando per la "Malga Spora", il giro si allungherebbe troppo e non conosco le condizioni della neve al "Passo del Lasteri" prima e sotto la cima del PIz Galin poi: mi concederò "solo" cima Sophia e poi giù, nuovamente a Molveno.
Raggiunta la sella tra le due cime del Croz dell'altissimo invece di seguire il sentiero stavolta mi tengo più in alto ed inizio a salire per prati innevati compiendo dei brevi tornanti: inizio già ad intravedere la croce di legno ed il percorso non presenta rischi come quello precedente.


Arrivo in vetta a "Cima Sophia".

In pochi minuti raggiungo la mia meta ed anche qui lo spettacolo è impressionante quanto favoloso: tocco la croce di vetta, anche cima Sophia (2360m) è stata raggiunta!


"Cima Sophia" ed il Brenta Meridionale.


Da sinistra verso destra la "Cima dei Lasteri" ed il "Piz Galin".

Da sinistra verso destra gli "Sfulmini", la "Torre di Brenta", la "Cima degli Armi", la "Cima Molveno", lo "Spallone dei Massodi", la "Cima Brenta" e la "Cima Sella".

Zoomata sui rifugi "Tosa" e "Pedrotti".

La "Bocca di Tuckett", dove partono le prime scale metalliche della via ferrata delle "Bocchette Alte".

La vetta del "Croz dell'altissimo" da "Cima Sophia".

Riguardo quest'ultima vetta ho cercato e chiesto in giro l'origine di questa croce ed il nome ivi segnato (senza però avere alcun ragguaglio) perché non è sicuramente qualcosa di "ufficiale", infatti prima era conosciuta come seconda cima del "Croz dell'altissimo": mi piace pensare che sia stata portata in vetta da qualcuno, in onore della propria amata... 


Panoramica a 360 gradi da "Cima Sophia" con tutti i nomi delle montagne. Di fianco il link a Google Foto per usufruire dell'immagine in formato panoramico.

Pensando ad un gesto simile mi sembra di essere tornato all'epoca d'oro dell'alpinismo ed al romanticismo ad essa connesso.


"Cima Sophia" (2360m).

Questi bei pensieri però durano poco, il vento sta diventando sempre più teso, meglio scendere.


Parte dei novecento metri della parete di Sud-Ovest del "Croz dell'altissimo".

La mia discesa lungo i prati innevati stavolta avviene senza tagli: quasi correndo, in modalità "scivolata controllata", raggiungo in pochissimo tempo il sentiero. 


Discesa da "Cima Sophia".

Adesso che li indosso non vorrei mai togliere i ramponi, anche sul misto riescono a darmi una sicurezza che con i soli scarponi in certe circostanze non provo. Alcune centinaia di metri dopo il bivio con il sentiero SAT 344B, scambiati i convenevoli con una coppia di escursionisti che con mio enorme sgomento si preparavano ad indossare quelli che io chiamo "ramponi cinesi", giunge l'ora anche  per me di abbandonare definitivamente la progressione tramite punte d'acciaio e tornare a quella tradizionale con suola in "Vibram".
Piccola parentesi.
I così detti "ramponcini" da escursionismo o "solette chiodate" permettono la progressione in sicurezza su suolo ghiacciato ed evitano cadute su sentieri facili ossia con pendenze minime (al massimo 15-20 gradi) e che non costeggino ripidi pendii o zone pericolose. Avendo punte molto corte (10–15mm al massimo) ed essendo sprovvisti di punte anteriori e dell'antizoccolo non si devono assolutamente utilizzare in zone dove deve essere usata solo ed esclusivamente attrezzatura alpinistica (ramponi e piccozza). Quindi attenzione, l'attrezzatura suddetta deve essere usata solo per passeggiate e non utilizzata per altri scopi.
Chiusa parentesi.
Scendo velocemente ed in breve tempo raggiungo la zona di rocce crepacciate dove tra i pini mughi riesco a perdere la traccia... 
Mannaggia, sono sceso troppo, lo vedo dalla traccia GPS: Ok, mi ricongiungerò con il sentiero qualche metro più a valle!
Supero il bivio con il sentiero SAT 352B raggiungo il "Passo dei Camosci" e dopo aver disarrampicato per facili roccette sono nuovamente sui prati del canalone che mi condurrà nuovamente alla fonte del "Albi del Mont".
Sotto i raggi di un caldo sole, riparato dal vento, devo fare una piccola pausa per dissetarmi e togliere uno strato al mio vestiario, inizia a fare veramente caldo.


Nei pressi dell'abbeveratoio chiamato "Albi del Mont" o "Fontanella".

Una volta entrato nel bosco benedico quasi questo cambio di scenario, avanzare all'ombra di questi alti abeti è molto più confortevole: non voglio però trarre nessuno in inganno, la temperatura esterna è intorno ai 2 gradi...


Il bivio con segnavia presso la località "Valbiole".

Raggiungo la località Valbiole dove noto che sono presenti alcune auto parcheggiate ed imbocco senza esitazione la carrareccia che mi condurrà nuovamente a Molveno che ogni tanto si intravede tra gli alberi.


Poco sopra Molveno, nei pressi di Via Panoramica.

Anche per questa volta è andata, più che bene!



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