Ciao, sono Gianluca, un innamorato delle proprie passioni. L'avventura è il tema portante, intesa come distacco dalla realtà quotidiana, per immergersi in un contesto dove l'istinto predomina sulla razionalità; intesa come scoperta della verticalità, nel sentirsi completi quando si va sempre più su, sfidando le proprie paure ma contemplando l'abisso. In questo spazio sono condivise le mie esperienze, magari per invogliare qualcuno a ripeterle, magari per fornire qualche utile consiglio.


mercoledì 25 ottobre 2017

Polluce 4092m per la cresta di Sud-Ovest

"Ho portato il mio Io sul punto più alto e lo lascio lassù, l'Io che voglio essere. Scendo con l'Io che sono".
(Reinhard Karl)



Ventuno Ottobre 2017
Partenza dal "Rifugio Guide del Cervino - Testa Grigia" (3480m) ore 9:11
Rientro al "Rifugio Guide del Cervino - Testa Grigia" ore 16:32
Durata escursione: 7h21' (pause merenda di 7' sull'antecima Sud-Ovest del Polluce ed i 8' alla base della cresta di Sud-Ovest)
Tempo di marcia: 7h 06'
Distanza percorsa: 15.6Km circa
Grado di difficoltà: PD+/AD- con salita per il canalino nevoso (45°) che conduce sotto le roccette che adducono al tratto con catene (passaggi fino al III+) e discesa per la cresta di Sud-Ovest (I/II, sfasciumi, un punto max III)
Dislivello in salita: 989m
Dislivello in discesa: 994m
Vette raggiunte: 2092m Polluce
Polluce su Wikipedia
Castore su Wikipedia
Cervino su Wikipedia
Plateau Rosa su Wikipedia
Grande Ghiacciaio di Verra su Wikipedia
Rifugio Guide del Cervino - Plateau Rosa - Testa Grigia m.3480 sito Web




Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.


Percorso:
Dal rifugio "Guide del Cervino - Testa Grigia" si risale il  ghiacciaio del "Plateau Rosa" seguendo le piste da sci che provengono dal "Piccolo Cervino" (3883m): incrociata l'ultima (350m di dislivello), seguendo delle tracce che deviano a destra verso il "Colle del Breithorn" si giunge nel "Grande Ghiacciaio di Verra", attraversato il quale (crepacci) si giunge base del Polluce. Si risale la sua cresta per un canale innevato (45°), poi per sfasciume ed infine arrampicando per delle lisce placche attrezzate con catene (cresta di Sud-Ovest, passaggi fino al III+) si giunge alla sua antecima (3991m, Madonnina con bambin Gesù in braccio); terminato questo tratto si prosegue per un'affilata cresta nevosa che conduce fino alla vetta. Per il ritorno è stato seguito lo stesso percorso in maniera inversa tranne che per il passaggio lungo il canalino nevoso al quale è stata preferita la cresta rocciosa.




Relazione:
Trovarsi qui dopo parecchi anni provoca in me un emozione intensa, il cielo è terso e mi trovo di fronte a quella che per le sue forme viene considerata la montagna con la "M" maiuscola: la "Cresta del Leone" risalta perfettamente e con Luca riusciamo ad identificare i passaggi principali da affrontare per la sua ascesa...


La vetta del Cervino che ogni tanto fa capolino fra le nuvole...

Ovviamente siamo sul ghiacciaio del Plateau Rosa, a 3480m di altezza ed il Cervino maestoso si eleva verso il cielo; quella di oggi sarà una giornata importante perché da come andranno le cose si valuterà come proseguire con la mia "carriera" da alpinista.


Il "Rifugio Jean-Antoine Carrel" arroccato sulla "Cresta del Leone".

L'obiettivo è il "Polluce" (4092m), un elegante montagna posta fra la "Roccia Nera" (l'estremità orientale del massiccio dei Breithorn) ed il suo "gemello", il "Castore": alle sue spalle i Lyskamm e la "Punta Dufour" e "Nordend" del Monte Rosa.
La sua ascesa non è fra le più banali e, proprio per mettermi alla prova, è un bel mix di situazioni e difficoltà diverse. Si tratta ovviamente di un percorso alpinistico, giudicato di difficoltà PD+/AD-, che inizia con l'attraversamento del "Grande Ghiacciaio di Verra", per giungere alla base del Polluce risalendo poi la sua cresta rossiccia per un canale innevato (45°), poi per sfasciume ed infine arrampicando per delle lisce placche attrezzate con catene (cresta di Sud-Ovest, passaggi fino al III+); terminato questo tratto si prosegue per un'affilata cresta nevosa che conduce fino alla vetta.
Mi ritrovo con Luca a poco più di un anno di distanza dalla conquista del Monte Bianco (vedi post In vetta al tetto d'Europa, la traversata del Monte Bianco con salita per la "Via dei Trois Mont Blanc" e discesa per la "Via dell'Aiguille du Goûter"), ma sembra che per noi non sia trascorso neanche un giorno: ramponi calzati mi lego la sua corda all'anello di sicurezza dell'imbrago con il classico nodo a "otto" e partiamo!
Ci incamminiamo lungo le piste per lo sci estivo in direzione del "Piccolo Cervino" proseguendo lungo il loro bordo, già arrivano i primi sciatori e non vogliamo iniziare di sicuro la nostra giornata con un incidente! La neve è perfetta e con i ramponi l'avanzata procede veloce; superiamo due sci-alpinisti che ci dicono che saliranno anche loro sul Polluce: non li vedremo più da nessuna parte, magari avranno cambiato idea e saranno saliti su uno dei Breithorn.
Fa abbastanza freddo ma il buon ritmo che teniamo manda subito in temperatura i nostri corpi e ci porta ad incrociare, in meno di un'ora, l'ultima pista da sci che attraverseremo durante l'andata: abbiamo superato circa 350 metri di dislivello ed il "Piccolo Cervino" è a poche centinaia di metri dal punto in cui ci troviamo, ma noi, individuate delle tracce che deviano a destra verso il "Colle del Breithorn", proseguiamo oltre. 


Il Cervino visto dalle piste da sci sul Plateau Rosa.

Dopo pochi minuti di marcia su terreno quasi pianeggiante lo raggiungiamo ed iniziamo così la lunga discesa attraverso il "Grande Ghiacciaio di Verra". Davanti a noi, in lontananza, ci sono alcune cordate provenienti sicuramente dal "Piccolo Cervino" (noi siamo saliti con la prima funivia da Cervinia): alcune si dirigono salendo verso sinistra sul Breithorn Occidentale, solo una prosegue lungo la pista che seguiremo a breve, saliranno anche loro sul Polluce?


Panoramica verso Est dal "Colle del Breithorn".

Ogni tanto il sole fa capolino tra le alte nuvole, chissà come troveremo questo tratto di percorso al nostro ritorno? La neve per il momento sembra tenere, dopo?
Stiamo camminando lungo il bordo di parecchi crepacci...


Selfie percorrendo il "Grande ghiacciaio di Verra". Grazie della foto a Luca Formagnana.

Intanto la nostra discesa prosegue alla caccia della cordata che ci precede passando dapprima sotto il massiccio del Breithorn Occidentale e, successivamente, quello Centrale ed Orientale: la nostra meta sempre più vicina. 


Verso la zona crepacciata, in alto svettano, da sinistra verso destra: Breithorn Orientale, Roccia Nera, Lyskamm Occidentale, Lyskamm Orientale, Polluce e Castore. Grazie della foto a Luca Formagnana.

Poche centinaia di metri prima di giungere alla base della cresta di Sud-Ovest del Polluce, nei pressi della "Roccia Nera", riusciamo nell'intento di superare la cordata che già da un po' puntavamo prendendo un buon margine su di loro. 


Nei pressi della base del Polluce che svetta sulla sinistra, a destra il Castore.

Dopo pochi minuti di marcia in leggera salita raggiungiamo il punto dal quale si inizierà a fare sul serio: Luca lascia i bastoncini ben infissi sulla neve ed indossati caschetti, "guanti da lavoro" e piccozze alla mano ci dirigiamo verso l'imponente cresta che si erge di fronte a noi.
Per l'ascesa abbiamo due opzioni a nostra disposizione:
  • la prima per un canalino nevoso (pendenza massima di 45°) che conduce sotto le roccette quasi alla base del tratto con le catene;
  • la seconda direttamente per la cresta rocciosa (passaggi di I/II, sfasciume, un punto di III). 
Il fatto di avere la piccozza in mano indica che stiamo per salire lungo il canalino: la neve sembra essere compatta e seguendo questa via ci risparmieremo un bel pezzo di cammino fra tratti di sfasciume, ramponi ai piedi. Con dei brevi tornanti iniziamo a risalire questo tratto compreso tra alcune bastionate rocciose alla nostra sinistra e la cresta alla nostra destra; man mano che si sale la pendenza cresce in egual misura, raggiungendo il culmine quando non possiamo più proseguire di traverso facendo lavorare tutte le punte dei ramponi ed il puntale della "picca" bensì utilizzando la "becca" e le sole punte frontali. Come ho già detto in questo punto la pendenza è intorno ai 45° ed ogni appoggio deve essere "saggiato" con la massima attenzione anche perché il terreno sul quale ci stiamo muovendo ora è un misto di ghiaccio, sassi e piccole rocce. Proseguo a testa bassa, concentrato sulla progressione, cercando di guardare il meno possibile in alto, non voglio vedere quanto manca al termine di questi delicati passaggi. Inizio a sentire la fatica e proprio quando sto per ammainare bandiera bianca la pendenza diminuisce e ci ritroviamo a calpestare un "comodo" sentiero dove il misto lascia il posto alla sola roccia. Siamo giunti nel punto in cui i due percorsi citati in precedenza si ricongiungono ed ora avanziamo per blocchi e sfasciume giungendo ad un risalto che possiamo evitare passando a destra oppure a sinistra. Superato questo facile tratto arriviamo sul punto topico della cresta ossia le famose placche attrezzate con catene (i vecchi canaponi negli ultimi anni sono stati sostituiti da queste ultime). 


Variante alta del primo tratto attrezzato con catene. Immagine tratta dal sito http://www.summitpost.org/chains-on-pollux/442965

Aggancio il moschettone della daisy chain su un anello della prima catena e seguendo i movimenti di Luca davanti a me inizio a muovermi di traverso verso sinistra per una placca liscia e parecchio esposta: i passaggi sono di III° e gli appoggi per i piedi sono alquanto risicati: i ramponi in questa circostanza fanno parecchio comodo ed in più di un'occasione infilo una punta in una fessura per trovare un appoggio. Proseguo di traverso per due tratti di catena finché non giungo nei pressi di un camino che si risale superando prima un masso incastrato, dal quale le catene proseguono in verticale: Luca supera questo punto con agilità e si porta sopra una piccola selletta che idealmente divide in due questa ultima parte di tragitto.

Sviluppo complessivo del tratto attrezzato con catene: ad oggi i "canaponi" sono stati tutti sostituiti con catene. Da notare il masso incastrato dove tre alpinisti stanno sostando. Immagine tratta dal sito http://www.summitpost.org/the-most-difficult-section/553945

Io invece mi blocco sotto il masso incastrato: non riesco a trovare alcun appoggio per i piedi; provo ad issarmi di forza, con le sole braccia, ma i miei arti superiori sembrano non rispondere. "Non ce la faccio, non riesco ad issarmi!" urlo a Luca più in alto.
Sono preso dallo sconforto, a posteriori ho capito che l'ascesa per il canale innevato ha richiesto molte energie, e l'aver preso di petto il punto più difficile dell'intera via non è stata una buona idea.
"Dai Gianluca, qui devi lavorare solo di braccia, riprendi fiato e poi via!"
Mi concentro sulla respirazione, la cordata, che poi scopriremo essere formata da due francesi più guida, alle mie spalle non è un problema, devo pensare solamente a canalizzare la mia energia sulle braccia: con un unico movimento devo staccare il solo piede (si fa per dire) in appoggio, rimanere con le gambe penzoloni, issarmi di forza fino a portare le mani (salde sulla catena) fino al petto e da lì staccarne una per posizionarla più in alto, dando un colpo di reni e così via... Operazione non proprio banale a livello del suolo, figuriamoci a quasi quattromila metri: sicuramente dovrò migliorare qualcosa in termini di tenuta atletica per la parte alta del corpo, ma questo è un altro discorso su cui verteranno i miei allenamenti futuri.
L'operazione riesce e mi ritrovo sul piccolo terrazzino alla base del camino, poi tutto procede quasi come in sogno: alcuni passaggi sono ardui (III+) ma ci sono sempre punti di appoggio, anche per la singola punta di un rampone.


Il secondo tratto attrezzato, nel punto del passaggio di III+: ad oggi i "canaponi" sono stati tutti sostituiti con catene. Immagine tratta dal sito http://www.cosleyhouston.com/recent/12-07-15-susan-lowery.htm

Lo sforzo, anche se la parete adesso è pressoché verticale, è ben distribuito tra arti inferiori e superiori e quasi senza accorgermene mi ritrovo in cima alla cresta di Sud-Ovest, la cosiddetta antecima del Polluce, di fronte alla Madonnina con in braccio il bambin Gesù che guarda verso la Val d'Ayas (3991m).
"Hai visto che ce l'hai fatta? Bravo Gianluca!"
Mi guardo alle spalle, ho superato 20 metri di parete verticale senza neanche rendermene conto, quasi come in trance, raccogliendo i rinvii lasciati da Luca sulle catene come da prassi...

Dall'antecima del Polluce vista sull'ultimo tratto attrezzato. Immagine tratta dal sito http://www.summitpost.org/pollux-rock/444909

Sento la stanchezza, fisicamente: ci concediamo una breve pausa mangiando e bevendo qualcosa ma più che altro ammirando quello che la natura oggi ci vuol mostrare... che è indescrivibile per la sua bellezza... 


Sull'antecima del Polluce (3991m) ai piedi della bellissima statua della Madonna con il bambino: una tiratina alle cinghie dei ramponi e si riparte!

Arriva l'altra cordata che ci supera nuovamente ma d'ora in poi questo non sarà più un problema visto che la progressione avverrà su un tracciato dove non c'è la possibilità di formare "ingorghi".


La sinuosa cresta nevosa che conduce alla vetta. Immagine tratta dal sito http://www.summitpost.org/pollux-normal-way-the/143563

Dopo pochissimi minuti riprendiamo la marcia seguendo la cresta nevosa che sale descrivendo un ampio arco verso destra: un centinaio di metri di dislivello da percorrere sul filo di una bianca lama affilata, attraversando oltretutto una crepaccia nei pressi della vetta. La neve è buona e a parte la fatica (la mia!) e l'esposizione niente ostacola la nostra avanzata fino alla cima del Polluce, 4092 metri!


In vetta: Polluce 4092m! Un sorriso Luca!

A parte quel masso incastrato tutto è filato liscio e dopo circa tre ore e mezza dalla partenza (sono le 12:42) abbiamo raggiunto la nostra meta: a differenza della nostra ascesa al Monte Bianco stavolta le condizioni ambientali sono migliori e possiamo trattenerci qualche minuto scattando fotografie da questa superba vetta dalla quale si possono ammirare le vette principali del Monte Rosa, il Castore, la Roccia Nera, i Breithorn fino al Monte Bianco ed al Gran Paradiso.


Il Castore (4228m) visto dalla vetta del suo gemello.

Panoramica dalla vetta verso Ovest.

Intanto, come previsto, il tempo verso Ovest inizia a peggiorare: meglio iniziare a scendere.


La Roccia Nera e a seguire tutte le vette del massiccio del Breithorn: sopra la vetta del Centrale appare la "punta" del Cervino.

Stavolta, rispetto a quanto fatto in salita, non scenderemo per il canalino, ma seguiremo per intero il percorso che si snoda lungo la cresta rocciosa: da quanto ho letto in alcune relazioni ci sono dei passaggi impegnativi da superare disarrampicando (fino al III grado), stranamente però la mia mente va ai 300 e passa metri di dislivello in salita da superare per raggiungere nuovamente il "Colle dei Breithorn", è come se quello che dovrò affrontare nel breve periodo non sia così importante... meglio così! Il mio istinto di solito non sbaglia!
Stavolta mi ricordo di accendere la action camera che ho sopra la testa filmando così per intero la discesa lungo la calotta nevosa di questa montagna. 


Discesa lungo la cresta nevosa del Polluce.

In poco meno di dieci minuti siamo nuovamente nei pressi della Madonnina.


Anche qui i Sibillini sempre nel cuore!

Il tempo di scattare altre fotografie e siamo pronti ad affrontare le due calate in doppia che ci riporteranno all'inizio del tratto con le catene: a tal proposito prendo il secchiello dal mio imbrago ma Luca mi ferma.


Il "Grande ghiacciaio di Verra" dall'antecima del Polluce. Grazie della foto a Luca Formagnana.

"Non scendiamo in doppia come previsto?" dico a Luca. "No Gianluca, quelle nuvole sul Colle dei Breithorn non mi piacciono per niente, dobbiamo calarci più velocemente e poi voglio vedere come te la cavi scendendo con la stessa prassi che utilizzeremo dove sappiamo noi. Simile alla in calata doppia, la velocità però verrà gestita da me e tu non dovrai toccare ne la corda ne la parete: se dobbiamo fare una prova meglio farla qui dove le condizioni sono similari."
Avvolgo la daisy chain intorno alla vita e con il moschettone la fisso all'anello di sicurezza del mio imbrago, Luca prepara velocemente un mezzo barcaiolo con la corda di calata sul suo moschettone fissato sulla sosta e... si parte!
Che figata! In pochi secondi mi ritrovo sulla piccola cengia dove è posizionata la seconda sosta, praticamente a metà discesa: dico a Luca che sono arrivato così da interrompere la calata. Mi assicuro alla sosta, recupero la corda man mano che Luca scende ed una volta che è giunto al mio fianco, preparata nuovamente la mia calata, si riparte!
In un battibaleno raggiungo e supero il masso incastrato: "Ferma Luca!".
Con un piccolo pendolo oscillo verso destra (faccia a monte) finché i miei piedi non poggiano saldamente a terra proprio dove parte la prima catena: è fatta! Mi assicuro nuovamente, recupero la corda ed attendo Luca che mi raggiunge in poco tempo.
Che dire, il test è stato positivo e non ci sono stati problemi di sorta, ora non resta che metterlo in pratica nuovamente la prossima estate...
Percorriamo a ritroso la pista seguita per la salita quasi un'ora fa finché non giungiamo nei pressi del bivio con la via che sale per il canalino dove, senza esitazione, svolto a sinistra seguendo la traccia ben delineata che prosegue lungo la cresta. Scendiamo per questo percorso caotico fatto di sfasciume, sassi, roccette finché raggiungiamo un punto il cui ho solo il vuoto davanti a me: mi affaccio, sono sopra il bordo di una parete verticale alta circa sei-sette metri. "Luca, si scende di qui?" chiedo.
La risposta è affermativa però questa constatazione mi lascia tranquillo, non ho timore alcuno nell'affrontare questo delicato passaggio: è questo il famoso III grado da superare in disarrampicata. Mi sento calmo, sicuro e spalle al vuoto inizio a scendere; quando con il petto sono all'altezza del bordo della roccia dove le mie mani hanno trovato comodi appigli inizio a scrutare verso il basso alla ricerca di appoggi per i piedi: a sinistra non trovo nulla di soddisfacente, sulla destra invece allungandomi riesco a poggiare una punta del rampone sopra uno spuntone. Perfetto! Dopo questo primo tratto reso difficoltoso anche dalla sporgenza della roccia dove inizia questo delicato passaggio, la mia discesa prosegue veloce ed in poco tempo raggiungo una cengia sassosa. Luca mi raggiunge in breve tempo e da lì riprendiamo a scendere per tratti ripidi tenendoci sul versante sinistro della cresta finché non raggiungiamo un punto dove troviamo il vuoto ancora di fronte a noi: "Stavolta non si scende per di qui, giusto?" chiedo a Luca.
"Guarda alla tua destra, dobbiamo risalire per quelle rocce fino a raggiungere quell'intaglio" mi risponde.
E' tutto chiaro, passando sopra le rocce noto come il continuo passaggio dei ramponi le abbia quasi levigate, invece la spaccatura è perfettamente liscia ed in alcuni punti persino tagliente. Superato questo punto la via ridiventa netta e mi rendo conto che le maggiori difficoltà della discesa sono terminate: si scende ancora per sfasciumi ma il pendio diviene man mano sempre meno ripido fino a portarci nuovamente sul ghiacciaio proprio nel punto in cui Luca aveva lasciato i bastoncini.
Tolgo il caschetto, sostituisco i guanti da lavoro con le muffole e, mentre osservo la cresta appena percorsa, bevo un po' di tè: ancora non sto realizzando di essere salito per di lì, superando ostacoli di varia natura; quello che mi stupisce però è stato il modo con il quale ho affrontato queste difficoltà ossia mantenendo sempre lucidità e completa padronanza di me stesso.
L'unica preoccupazione che ho, se si può definire tale, è quella riguardo la mia tenuta fisica per l'ultima salita che rimane per ritornare al "Rifugio Guide del Cervino", quella che ci condurrà dal "Grande Ghiacciaio di Verra" fino al "Colle del Breithorn": non ci saranno problemi in tal senso, l'unica preoccupazione riguarda il numero delle pause che dovrò effettuare. Come ho già detto in precedenza l'incognita è il tempo e non possiamo tergiversare perché un eventuale arrivo delle nuvole con fenomeni nevosi ridurrebbe drasticamente la visibilità e trovarsi nel bel mezzo di un ghiacciaio in queste condizioni non è cosa da augurare nemmeno al peggior nemico.
Intanto proseguiamo, quando il percorso inizierà a salire vediamo come butta in termini di fiato e di visibilità.
Questa prima parte sul ghiacciaio si svolge principalmente  su terreno prettamente pianeggiante o in discesa e qui non risento in alcuna maniera dello sforzo sinora sostenuto: gli unici momenti in cui siamo costretti a fermarci sono quelli in cui Luca saggia con il bastoncino la tenuta della neve.
L'esposizione è a Sud e rispetto a stamattina la neve si è sciolta in parecchi punti scoprendo maggiormente alcuni crepacci, fatto sta che si avanza con cautela allungando lo spezzone di corda che ci separa e pronti a qualsiasi evenienza.
Sono parecchi i punti in cui dobbiamo prestare attenzione però fortunatamente tutto procede nel migliore dei modi finché non giungiamo nel tratto in cui inizia la risalita. Il meteo sembra tenere, e già questa cosa mi tranquillizza, vediamo se riesce in questo intento anche il mio corpo...


Uno sguardo indietro in una delle tante pause durante la risalita verso il "Colle del Breithorn".

Provo a stringere i denti, a contare i passi, mi concentro sulla respirazione ma è tutto inutile: "Luca, facciamo una piccola pausa...".
Questa tiritera si ripeterà per almeno una decina di volte, con mio grosso disappunto...
E' da poco più di sei ore che siamo in marcia e finché si procede su terreno pianeggiante o in discesa non ho problemi, se la pendenza sale oltre un certo limite dopo un po' il motore va fuori giri: "Eppure quando abbiamo affrontato insieme la traversata del Monte Bianco (vedi post In vetta al tetto d'Europa, la traversata del Monte Bianco con salita per la "Via dei Trois Mont Blanc" e discesa per la "Via dell'Aiguille du Goûter"), che è stata molto più impegnativa di questa a livello di sforzo fisico, non avevo patito così la stanchezza... Mi alleno sempre allo stesso modo, cos'è che è cambiato?" dico a Luca una volta giunti sul "Colle del Breithorn".
"In quel periodo se non ricordo male eri in ferie, stavolta no e questo incide, parecchio!" mi risponde Luca.
Forse è così però mica posso essere sempre in ferie quindi si dovrà per forza cambiare qualcosa nei miei allenamenti...


Panoramica dal "Colle del Breithorn": finalmente è fatta!

Adesso che siamo in leggera salita il discorso è diverso e procedo di buon passo: incrociamo una pista da sci che scende dal "Piccolo Cervino" alla nostra destra e qui, dove inizia la discesa, le cose vanno ancora meglio. Come dicevo adesso scenderemo lungo le piste da sci ed è uno spasso camminare su questo terreno bello liscio e compatto: non c'è praticamente nessuno perché in questo periodo gli impianti sono chiusi di pomeriggio, ci sono solo i gatti delle nevi che battono le piste per la giornata di domani, ma sono lontani da noi.


Intanto le prime nuvole coprono la vetta del Cervino.

D'un tratto penso che è giunto il momento di finirla con le menate riguardanti il fiatone che avevo durante l'ultima salita, sugli allenamenti che dovranno essere un poco più intensi, sulle vette che ho in programma per la prossima estate... Sono stato in cima al Polluce, il mio quattordicesimo quattromila (decimo secondo la lista ufficiale), credo possa bastare per oggi, no?


Grosso crepaccio percorrendo il Plateau Rosa.

Si, è giunto il momento che l'euforia prenda il sopravvento su tutto il resto, ed è ciò che avviene...


Missione compiuta!

Una bella birra al rifugio non ce la toglie nessuno, stasera trascorreremo una tranquilla serata fatta di ozio e relax... A noi Luca, ed alla prossima!
L'avventura con i quattromila prosegue con il Breithorn Occidentale 4165m dal Plateau Rosa.


Tramonto dal "Rifugio Guide del Cervino - Testa Grigia" (3480m).

Il Cervino che si riflette sulle acque cristalline del Lago Blu, poco sotto Cervinia.



Galleria fotografica in preparazione.

mercoledì 18 ottobre 2017

"Foro degli Occhialoni" ed i "Gradoni" presso il Monte Frasassi

"le sensazioni mutano, cambiano e si insinua il dubbio, l'impotenza perché lo spazio infinito, rappresentato da ciò che è celato dalla nebbia, è un qualcosa che oltre a non conoscere, neanche possiamo cercare di governare tanta è la sua forza...
Forse è proprio questa la chiave per comprendere il sublime: sono estasiato nel trovarmi di fronte a questo panorama ma non posso fare a meno di averne timore pensando a chi o cosa possa averlo creato..."



Quindici Ottobre 2017
Partenza da San Vittore alle Chiuse (204m) ore 9:07
Rientro a San Vittore alle Chiuse ore 11:11
Durata escursione: 2h04' (pause merenda di 11' sulla base dei "Gradoni")
Tempo di marcia: 1h 53'
Distanza percorsa: 8.1Km circa
Grado di difficoltà: EE, passaggi di I grado sui "Gradoni"
Quota max raggiunta: 523m sopra i "Gradoni" 
Dislivello in salita: 587m
Dislivello in discesa: 599m
Parco Naturale Regionale della Gola della Rossa e di Frasassi su Wikipedia   
Grotte di Frasassi su Wikipedia  


Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.



Percorso:
Partenza dal parcheggio antistante la chiesa romanica di "San Vittore alle Chiuse", si attraversa il ponte romano sul fiume "Sentino" seguendo l'evidente traccia  che lo costeggia: c'è un segnavia ed il sentiero ivi indicato è 139AG (segni bianco-rossi). Il percorso in questa prima fase è composto da alcuni brevi saliscendi che portano ad un bivio dove si prende il sentiero che sale alla destra, in mezzo al bosco.
L'ascesa prosegue per quattro tornanti che si inerpicano fino a "Pierosara" dove si raggiunge un crocevia: proseguendo sulla destra si va per "Pierosara" (sentiero 117); andando dritti, per il sentiero 139AG, si arriva alla sella tra il "Monte di Frasassi" (708m) ed il "Monte Giunguno" (734m); svoltando a sinistra (sentiero 117), si prosegue verso il "Foro degli Occhialoni". Si svolta a sinistra per quello che sembra un viale alberato finché la pista non ridiventa un sentiero che scende costeggiando il crinale, raggiungendo poi una piccola piazzola. Si prosegue per il sentiero a mezzacosta lungo il versante Nord-Est del "Monte Frasassi" finché si raggiunge un nuovo bivio: salendo sulla destra in pochi minuti si arriva all'ingresso della "Grotta del Mezzogiorno"; procedendo invece sulla sinistra il sentiero risale ripido nel bosco fino al "Foro degli Occhialoni" . Proseguendo per quest'ultimo si superano facili roccette aiutandosi con la vegetazione circostante. Dal "Foro degli Occhialoni" si procede sulla sinistra fino a raggiungere la base dei "Gradoni" (qui terminano i segni bianco-rossi): si arrampica (passaggi di I° con due cavi metallici) e si passa per una cengia esposta (anche qui cavo metallico). Il sentiero 117 "tecnicamente" termina qui, e la seguente parte di percorso è ora senza nome e non più segnalata, ci si ricongiungerà più avanti con il sentiero 117A: l'Ente Parco "consiglia" di terminare l'escursione qui e tornare indietro "nel rispetto dei vincoli posti per ragioni di sicurezza e rispetto della fauna sulle pareti che sovrastano la Gola". Si prosegue per tratti esposti lungo una pista con vecchi segni giallo-rossi ed omini di pietra fino a ricongiungersi con il sentiero 117A sopra la "Grotta della Beata Vergine di Frasassi".
Si scende poi sulla strada lastricata che conduce all'eremo di "Santa Maria infra Saxa" ed al tempietto del "Valadier" tenendosi sulla destra per arrivare poi alla strada asfaltata che costeggia il fiume "Sentino". Da qui si prosegue in direzione "San Vittore alle Chiuse" (sinistra) per circa 2.5 Km fino al punto di partenza.




Relazione:
Anche oggi mi ritrovo qua, di fronte alla Chiesa Romanica di "San Vittore aale chiuse" pronto per l'ennesima traversata del "Monte Frasassi" passando per il "Foro degli Occhialoni" ed i famosi "Gradoni". La relazione che state leggendo non era prevista anche perché con questa raggiungiamo quota quattro negli ultimi tre anni: abbiamo iniziato con quella del Diciotto Ottobre 2014 con i compagni di merende, passando per quella in solitaria del Dodici Marzo 2016, giungendo infine a quella con la deviazione per l'ingresso superiore della "Grotta del Mezzogiorno" del Dieci Dicembre 2016; senza parlare di tutte quelle precedenti che non sto qui ad elencare.
Il fatto che la stiate leggendo però indica che nel frattempo è accaduto un qualcosa che mi ha fatto cambiare idea... Cosa? Lo scopriremo insieme cammino facendo.
Ripartiamo dall'inizio.
Dopo parecchie "solitarie" oggi avrò Mirko al mio fianco a distanza di parecchio tempo su questo percorso: per lui si tratterebbe di un ritorno dopo quasi venti anni!
Il tempo però sembra non ci stia dando una grossa mano perché siamo partiti da Jesi con un caldo sole autunnale mentre qui una fitta nebbia ci ha dato il suo benvenuto: il timore è quello che ci accompagni per tutto il nostro percorso visto che non saliremo parecchio di quota; il punto più alto che toccheremo infatti sono solo i 523m di altezza che si raggiungono sui "Gradoni".
E' parecchio umido ed il freddo sembra penetrare da ogni poro della nostra pelle ed è per questo che quasi inconsciamente imprimiamo fin da subito un ritmo elevato alla nostra marcia: questa sgradevole sensazione continua finché percorriamo la parte di sentiero lungo il fiume Sentino ed i primi lunghi tornanti dentro il bosco sottostante Pierosara, frazione di Genga che non toccheremo durante il nostro periplo. Il nostro corpo intanto si scalda ed è buffo osservare come dai nostri abiti traspiri vapore acqueo provocato dalla nostra sudorazione, questo non allevia però i nostri timori perché giunti al bivio ed imboccato sulla sinistra il sentiero n.117 la nebbia continua ad essere nostra compagna.
Proseguiamo per quello che sembra un bel viale alberato in leggera salita mantenendo un buon passo finché la pista non ridiventa un sentiero che scende costeggiando il crinale prima e proseguendo a mezzacosta poi lungo il versante Nord-Est del "Monte Frasassi" ma la situazione non migliora.
Raggiungiamo il bivio che conduce all'ingresso superiore della "Grotta del Mezzogiorno" e svoltiamo a sinistra, seguendo il sentiero che risale ripido nel bosco fino al "Foro degli Occhialoni": ormai manca poco al raggiungimento del primo obiettivo della giornata e questo lo notiamo dal fatto che la pista diventa rocciosa e si devono superare dei piccoli
salti.
Siamo talmente concentrati sul nostro avanzare (a causa della nebbia la roccia è bagnata e si scivola con molta facilità) che non ci accorgiamo che intanto qualcosa sta  cambiando...
Guardando alla nostra sinistra, dove gli alberi sono più radi, notiamo che il chiarore sta aumentando: tu sta a vedere...

Finalmente i raggi del sole iniziano a filtrare tra i rami degli alberi.

Salendo, da uno squarcio tra la fitta vegetazione, vediamo che stiamo per oltrepassare la linea di separazione tra nebbia e cielo azzurro: "Mirko, dai che forse siamo fortunati!"

Che meraviglia!

Acceleriamo il passo e percorriamo gli ultimi metri che ci separano dal "Foro degli Occhialoni" e quando siamo al suo cospetto rimaniamo a bocca aperta...

Senza parole...

La nostra visuale è ostruita davanti dalla parete rocciosa del "Monte Frasassi", e tutt'intorno dalla fitta vegetazione, l'unico pertugio dal quale poter osservare cosa succede in basso è guardare dentro al "Foro degli Occhialoni"...
Non avevo mai assistito ad uno spettacolo del genere, come ho premesso sono stato qui non so quante volte ma quello che sto osservando con i miei occhi in questo istante è un qualcosa che non avrei mai immaginato di vedere...

"Quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite."
(William Blake)

La sensazione è la medesima che si prova quando si osserva qualcosa dal buco di una serratura, in questo caso con un apertura d svariati metri: intorno quasi tutto buio e dentro la luce; la differenza sostanziale però è che stavolta lo sguardo non è attirato dalle bianche rocce del "Monte Valmontagnana" ma dal mare di nebbia che copre con il suo soffice manto tutta la "Gola di Frasassi".

"... le sensazioni mutano, cambiano e si insinua il dubbio, l'impotenza perché lo spazio infinito, rappresentato da ciò che è celato dalla nebbia, è un qualcosa che oltre a non conoscere, neanche possiamo cercare di governare tanta è la sua forza..."

Un mare inquieto, che non lambisce mai nello stesso punto le bianche rocce delle pareti sovrastanti l'ingresso delle famose "Grotte di Frasassi": la linea di confine tra ciò che è visibile e ciò che non lo è mutevole, come sciabordio delle onde del mare sulla sabbia...
Le emozioni che proviamo ci rapiscono e come ipnotizzati non riusciamo a distogliere i nostri occhi da questo splendido quadro...

Piccola parentesi artistica.
Facciamo un salto nel passato, precisamente a metà anni novanta: mi sto recando a colloquio con un'assistente di un Professore all'Università, per discutere in maniera dettagliata gli argomenti da trattare nell'ambito di una tesina. Varco l'ingresso del "Dipartimento di Elettronica ed Automatica" e mi avventuro nei suoi "meandri" fatti di laboratori, uffici, aule, biblioteca finché non raggiungo quello che sto cercando: la targhetta con il nome posta vicino all'ingresso mi conferma che ho trovato l'ufficio giusto. La porta è già aperta, busso ed una voce femminile mi dice che mi posso accomodare: si, la ricercatrice che ho di fronte è quella che è venuta a farci lezione qualche volta. Mi presento ed iniziamo a discutere... 
Non mi era mai capitata una cosa del genere, mentre lei parla le sue parole è come se giungessero ovattate ed afone ai miei orecchi talmente sono preso da ciò che i miei occhi stanno ammirando... la bellezza...
Ovviamente non sto parlando dell'assistente, cosa avete capito!?
Sono letteralmente rapito dal dipinto impresso sulla grossa stampa appesa al muro alle sue spalle: l'emozione è talmente intensa che è come se mi trovassi al suo interno, sto provando le stesse sensazioni del personaggio che vi è rappresentato: "Viandante sul mare di nebbia (Der Wanderer über dem Nebelmeer) - Caspar David Friedrich (1818)".
Che meraviglia... E' amore a prima vista...

Viandante sul mare di nebbia (Der Wanderer über dem Nebelmeer) - Caspar David Friedrich (1818)

Non faccio in tempo ad uscire dalla facoltà che mi dirigo subito verso il centro di Ancona, lascio l'auto al parcheggio "Stamira" e quasi mi metto a correre in direzione della "Libreria Metro'", in Corso Garibaldi: entro e trovo subito la scaffalatura inerente l'arte e dopo pochi istanti ho fra le mani un bel libro con tutte le opere di Friedrich.
Quasi in trance pago e torno sui miei passi: mi siedo su una panchina nei giardinetti di "Piazza Stamira" e la magia si ripete... (ancora era possibile farlo senza aver corso il rischio di essere importunati o peggio da persone di vario genere).
Ora di fronte a quello che la natura mi sta offrendo provo le medesime emozioni accompagnate dalla forte sensazione di déjà-vu per l'episodio che ho descritto poc'anzi.
Chissà a cosa assisteremo superata la fascia di vegetazione sopra i "Gradoni"...
Non ho svolto, con sommo rammarico, studi artistici e se volessi parlare del "Viandante sul mare di nebbia" non lo farei sicuramente in termini tecnici, cosa di cui non avrei le capacità: quello che voglio descrivervi invece è quello che provo ogni volta mi trovo di fronte a questo bellissimo dipinto, che ho avuto anche la possibilità di ammirare dal "vivo"!
Si, perché nell'ormai lontano 2014 mi trovavo ad Amburgo per lavoro e, facendola breve, tutta una serie di eventi e circostanze sono collimati facendo sì che io abbia visitato l'Hamburger Kunsthalle, il museo dove è conservata questa magnifica opera.


All'ingresso dell'Hamburger Kunsthalle ad Amburgo

Ogni volta osservo questo dipinto l'empatia tra me e l'uomo ritratto di spalle è pressoché completa e l'immagine delle montagne ammantate dalla nebbia nella luce calda ed ovattata del tramonto riesce a portarmi lontano, quasi a toccare con mano l'essenza della conoscenza...
Grazie all'atmosfera che l'artista ha sapientemente ricreato, in virtù della sua mano e del suo talento, è come se riuscissi a cogliere il senso dell'eternità, dell'infinito...
Tutto il mio essere viene attraversato da un maelstrom di emozioni che riescono a catalizzare in me una consapevolezza, uno stato mentale mai provati.
Questa euforia però è di breve durata perché le sensazioni mutano, cambiano e si insinua il dubbio, l'impotenza perché lo spazio infinito, rappresentato da ciò che è celato dalla nebbia, è un qualcosa che oltre a non conoscere, neanche possiamo cercare di governare tanta è la sua forza...
Forse è proprio questa la chiave per comprendere il sublime: sono estasiato nel trovarmi di fronte a questo panorama ma non posso fare a meno di averne timore pensando a chi o cosa possa averlo creato...
Questa nuova consapevolezza, questo indagare che ci rende vulnerabili rispetto al nostro essere vivi per un brevissimo intervallo di tempo se commisurato all'eternità, questo essere fragili grazie ai nostri dubbi, errori ed insicurezze, fanno si che avvenga una sorta di miracolo, che il quadro della situazione muti nuovamente: no, questa forza onnipotente non vuole annientarmi, la mia fugace presenza lascerà segni del suo passaggio (basti pensare al Principio di Indeterminazione di Heisenberg, uno dei capisaldi della meccanica quantistica, che dal punto di vista concettuale significa che l'osservatore non può mai essere considerato un semplice spettatore, ma che il suo intervento, la sua sola presenza, produce degli effetti non calcolabili, e dunque un'indeterminazione che non si può eliminare), per un singolo attimo della mia esistenza sarò anch'io un piccolo particolare dell'infinito, farò parte di queste forze che governano l'Universo...

"Pierosara" fra le brume nebbiose, sullo sfondo il "Monte Murano". 

Forse i miei sono solo vaneggiamenti, può darsi le premesse da me fatte siano errate, quello che rimane però (che alla fine è quello che conta) sono le emozioni provate ed il "viaggio" che compio ogni volta osservo questo dipinto... 
Per gli altri aspetti vediamo cosa si trova scritto su Wikipedia:

"Nella figura del pellegrino rapito dalla voragine brumosa Friedrich sintetizzò magistralmente idee e suggestioni tipicamente del proprio tempo, tanto che il Viandante sul mare di nebbia è considerato un'icona del Romanticismo tedesco.
L'opera, infatti, irradia messaggi multiformi, glorificando i temi dell'infinito, del sublime e dell'errabondo. Attesta infatti il senso di imperfezione, di humilitas, sperimentato dall'uomo durante la contemplazione dell'Infinito, qui rappresentato dall'immenso mare di nebbia che impedisce la vista del paesaggio sottostante. Il viaggiatore romantico si perde di fronte al baratro brumoso in un atteggiamento contemplativo visto come estrema esperienza interiore e spirituale: in questo modo, egli indaga impietosamente, nella sua nudità, la propria anima, con tutte le sue insicurezze, i suoi errori, i suoi dubbi e certezze.
È proprio l'eroico isolamento del viandante a celebrare una presenza onnipervasiva nel Romanticismo: il sublime, ovvero lo stato d'animo misto di sgomento e piacere percepito dall'uomo quando diviene consapevole della stupefacente grandiosità della natura. Questa potenza irresistibile non annienta il viandante, bensì lo induce a riflettere in senso filosofico sulla propria condizione, consentendogli quindi di unirsi al divino. I paesaggi di Friedrich sono infatti carichi di simbolismi religiosi, ma prigionieri di una struggente malinconia; in questo modo, il sublime nel Viandante sul mare di nebbia si manifesta nel contesto naturale, che accende l'animo del viandante e gli permette di arrivare fino a Dio.
Scriveva Marco Bona Castellotti, in Friedrich: un viandante su un mare di luce:
« Il rapporto col paesaggio in lui si colora di un elemento insolito: la partecipazione commossa del soggetto, il senso dell'infinito e del mistero, che conduce con sé simboli, evocazioni, allegorie. Sovente è la natura stessa a fare da protagonista, sia per l'assenza dell'uomo, sia perché anche quando è presente esso si fonde con la natura in un tutt'uno che celebra l'assoluto »
Alla sublimità della natura, infine, si unisce il tema dell'errabondo. L'uomo ritratto nel quadro, oltre che solitario, è infatti anche un homo viator, un pellegrino (come si può dedurre dal bastone): questa condizione si ricollega alla figura dell'esule «bello di fama e di sventura», tipica della cultura romantica."

Secondo voi, potevo non scrivere una relazione?
Chiusa parentesi artistica.

Scattiamo alcune fotografie e poi quasi di corsa riprendiamo il sentiero che alla nostra sinistra, costeggiando le rocce sottostanti i "gradoni", si inerpica sempre più in alto...
Si, il quadro è perfetto, meglio lasciar spazio alle emozioni...

Contemplazione, paura, immensità, forza, bellezza, estasi, euforia, gioia, malinconia, maestosità, impotenza... (l'ordine è puramente casuale)


Gioia.

Malinconia.

Contemplazione.

Bellezza.

Serenità.

Immensità.

Impotenza.

Forza.

Paura.

Maestosità.

Facciamo una piccola pausa per scattare fotografie e mettere sotto i denti qualcosa e già stiamo arrampicando sui "Gradoni": i passaggi sono di I° e sono presenti un paio di cavi metallici, quello che fa rabbrividire però è l'esposizione che è davvero notevole. Il sentiero adesso non è più il 117 ma diventa il 117A: "tecnicamente" questa parte di sentiero è senza nome e non più segnalata, ci si ricongiungerà più avanti con il sentiero 117A, l'Ente Parco "consiglia" di terminare l'escursione qui e tornare indietro "nel rispetto dei vincoli posti per ragioni di sicurezza e rispetto della fauna sulle pareti che sovrastano la Gola"...
Su quest'ultimo punto però avrei parecchio da ridire perché il Parco pone questo genere di vincoli per il rispetto della fauna consigliando agli escursionisti di non transitare per alcuni sentieri che l'uomo percorre dall'alba dei tempi, come ad esempio i "gradoni" (o "scaloni"), mentre nella gola sottostante possono scorrazzare motociclette a velocità sostenuta con scarichi non proprio omologati, che di rumore (grazie anche all'amplificazione che si produce proprio perché si è in una gola) in confronto ne producono una infinità (a scanso di equivoci posseggo anch'io una motocicletta).
Questi Parchi... 
Meglio tornare alla realtà e godersi i bellissimi passaggi che questa cresta offre:

In cresta!

Via con il secondo cavo!

Cambio di soggettiva sulla medesima cresta.

Passaggi di I°.

Cavo si?

Cavo no?

Vista dal basso verso l'alto, ci divertiamo anche così!

Fine del tratto del secondo cavo.

Il tratto finale del secondo cavo visto dall'alto.

Dopo una prima parte dove si avanza prevalentemente in direzione verticale, il percorso piega verso sinistra scendendo di qualche metro passando per una bella cengia molto esposta (è presente un cavo metallico anche qui).

Scendendo verso la cengia.

Voglio passare senza l'ausilio del cavo.

Fatto!

Mirko poco sopra la cengia.

Pronti...

Via!

Il sentiero adesso inizia a scendere leggermente alternando tratti che si svolgono tra la vegetazione ad altri dove ci si ritrova all'improvviso a strapiombo sulla gola sottostante.

Circondati dalle pareti verticali del "Monte Frasassi".

La nebbia sta ancora giocando dentro la "gola di Frasassi" ed ogni tanto, come ipnotizzati, ci fermiamo ad ammirare quanto ci viene offerto.

"Forse è proprio questa la chiave per comprendere il sublime: sono estasiato nel trovarmi di fronte a questo panorama ma non posso fare a meno di averne timore pensando a chi o cosa possa averlo creato..."

Uno sguardo verso la "gola della Rossa".

La marcia procede veloce e dopo pochi minuti, raggiunte le grosse reti che servono da protezione contro la caduta massi, scendiamo sulla strada lastricata che conduce alla porta di ingresso della grotta della "Beata Vergine di Frasassi", dove sono "incastonati" l'eremo di "Santa Maria infra Saxa" e il tempietto del "Valadier".

Nei pressi della grotta della "Beata Vergine di Frasassi".

Eccoci all'ingresso del portale.

Il tempietto del "Valadier".

L'eremo di "Santa Maria infra Saxa".

Il tempo di scattare alcune fotografie e già stiamo scendendo nuovamente lungo la strada percorsa pocanzi, che ci condurrà al bivio con la strada che costeggia il fiume "Sentino": incrociamo alcuni speleologi (riconoscibili dal loro abbigliamento ed attrezzatura) con cui scambiamo dei cortesi saluti, chissà quale sarà il loro programma? Grotta del Mezzogiorno?
Oppure...

Scendendo per la strada lastricata, vista sul "Monte Valmontagnana".

Giunti sulla strada asfaltata svoltiamo a sinistra, in direzione "San Vittore alle Chiuse", la nebbia si è diradata ma l'umidità ancora permane: imprimiamo alla nostra marcia nuovo vigore per riscaldare le nostre membra intorpidite ed in poco meno di venti minuti siamo nuovamente di fronte alla chiesa romanica dove un caldo sole ci fa compagnia.

Il "Monte Frasassi".

La chiesa romanica di "San Vittore alle Chiuse".

"Si va in montagna per essere liberi, per scuotersi dalle spalle tutte le catene che la convivenza sociale impone, per non inciampare ogni due passi in imposizioni e proibizioni. Si va in montagna anche per sottrarsi a norma ammuffite, per sbizzarrirsi una buona volta e immagazzinare nuove energie."

(Tita Piaz)

P.S. Un ringraziamento per la citazione di Tita Piaz va a Domenico Salusti.





Galleria fotografica


Finalmente i raggi del sole iniziano a filtrare tra i rami degli alberi.

Che meraviglia!

Senza parole...

"Quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite."
(William Blake)

"... le sensazioni mutano, cambiano e si insinua il dubbio, l'impotenza perché lo spazio infinito, rappresentato da ciò che è celato dalla nebbia, è un qualcosa che oltre a non conoscere, neanche possiamo cercare di governare tanta è la sua forza..."

Gioia.

Contemplazione.

Euforia.


Bellezza.

Malinconia.

Serenità.

Immensità.

Impotenza.

Forza.

Paura.

Maestosità.

In cresta!

Via con il primo cavo!

Via con il secondo!

Cambio di soggettiva sulla medesima cresta.

Passaggi di I°.

Cavo si?

Cavo no?

Alla fine quello che conta è salire, non come lo si fa!

Vista dal basso verso l'alto, ci si divertiamo anche così!

Fine del tratto del secondo cavo.

Il tratto finale del secondo cavo visto dall'alto.

Scendendo verso la cengia.

Voglio passare senza l'ausilio del cavo.

Fatto!

In posa!


Adesso ti scatto io qualche foto!

Mirko poco sopra la cengia.

Pronti...

Partenza...

Via!

Il gioco è fatto!

Circondati dalle pareti verticali del "Monte Frasassi".

"Il sentiero adesso inizia a scendere leggermente alternando tratti che si svolgono tra la vegetazione ad altri dove ci si ritrova all'improvviso a strapiombo sulla gola sottostante...."

Le bianche pareti del "Monte Valmontagnana".

Senza parole... 

"Forse è proprio questa la chiave per comprendere il sublime: sono estasiato nel trovarmi di fronte a questo panorama ma non posso fare a meno di averne timore pensando a chi o cosa possa averlo creato..."

Ok, mi giro!

Dai, ti scatto una foto anch'io!

Uno sguardo verso la "gola della Rossa".

Scendendo si ritorna fra la nebbia.

Nei pressi della grotta della "Beata Vergine di Frasassi".

Eccoci all'ingresso del portale.

Il tempietto del "Valadier".

L'eremo di "Santa Maria infra Saxa".

E' ora di andare!

Scendendo per la strada lastricata, vista sul "Monte Valmontagnana".

Il "Monte Frasassi".

La chiesa romanica di "San Vittore alle Chiuse".