Ciao, sono Gianluca, un innamorato delle proprie passioni. L'avventura è il tema portante, intesa come distacco dalla realtà quotidiana, per immergersi in un contesto dove l'istinto predomina sulla razionalità; intesa come scoperta della verticalità, nel sentirsi completi quando si va sempre più su, sfidando le proprie paure ma contemplando l'abisso. In questo spazio sono condivise le mie esperienze, magari per invogliare qualcuno a ripeterle, magari per fornire qualche utile consiglio.


mercoledì 31 agosto 2016

In vetta al tetto d'Europa, la traversata del Monte Bianco 4810m con salita per la "Via dei Trois Mont Blanc" e discesa per la "Via dell'Aiguille du Goûter"

"... Tutto sta diventando confuso. Spengo la frontale, la luce dell'aurora è sufficiente e continuo, un passo dopo l'altro. Il mio essere è concentrato sul mantenere la corda che mi lega a Luca quasi a sfiorare il terreno, tornante dopo tornante, passo dopo passo...
Passiamo di fianco alle "Petits Rochers Rouges" (4577m), mancano poco più di 200 metri alla vetta...
Un torpore mi avvolge completamente, anima e corpo: il freddo intenso portato dal vento sta letteralmente "addormentando" il lato destro del mio viso, sto perdendo sensibilità, no, non è un problema, non c'è bisogno lo dica a Luca...
Come in un sogno avanzo in questa atmosfera ovattata dove l'unico rumore è quello prodotto dal forte vento..."



Dodici Agosto 2016
Partenza dal "Rifugio Des Cosmiques" (3613m) ore 01:34
Arrivo al "Nid d'Aigle" (Capolinea della "Tramway du Mont-Blanc") (2412m) ore 13:19
Durata totale: 11h 45' (pausa presso il rifugio "Tête Rousse di 40')
Tempo di marcia: 11h 05'
Distanza percorsa: 16,6Km circa
Grado di difficoltà: PD+
Vette raggiunte: 4810m Monte Bianco, 4677m Rochers de la Tournette, 4547m Petite Bosse, 4513m Grand Bosse, 4304m Dôme du Goûter
Quota massima: 4810m Monte Bianco
Dislivello in salita: 1584m circa (totale 1606m)
Dislivello in discesa: 2862m circa (totale 3145m)
Monte Bianco su Wikipedia
Rifugio Des Cosmiques su Wikipedia
Mont Blanc du Tacul su Wikipedia
Monte Maudit su Wikipedia
Via dei Trois Mont Blanc su Wikipedia
Via normale francese al Monte Bianco su Wikipedia

Undici Agosto 2016 - Discesa al "Rifugio Des Cosmiques" dalla "Aiguille du Midi" sul Monte Bianco

Partenza dalla stazione di arrivo della funivia di "Aiguille du Midi" (3842m) ore 15:22
Arrivo al "Rifugio Des Cosmiques" (3613m) ore 15:56
Durata escursione 34' 
Distanza percorsa: 1,3Km circa
Grado di difficoltà: F
Dislivello in salita: 22m circa
Dislivello in discesa: 283m circa


"Affronta gli ostacoli e fa qualcosa per superarli. Scoprirai che non hanno neanche la metà della forza che pensavi avessero."
(Norman Vincent Peale)

"Anche gli esperti muoiono sotto le valanghe, perché le valanghe non sanno che sei esperto."
(André Roch) 



Da "La Repubblica di Torino" del 19 Luglio 2016

"Alpinista cade e muore in un crepaccio sul massiccio del Monte Bianco
L'incidente al Petit Mont-Blanc, poco sotto il bivacco Rainetto, vittima un volontario romano della Croce Rossa. Illesi due compagni di scalata

19 luglio 2016
Un alpinista - un romano di 54 anni, volontario della Croce Rossa Italiana - è morto dopo essere caduto in un crepaccio al Petit Mont-Blanc (3.420), sul versante italiano del massiccio del Monte Bianco, nella Val Veny. Secondo quanto si è appreso, è caduto per una decina di metri. L'incidente si è verificato poco sotto al bivacco Rainetto (3.047 metri). Sul posto, con l'elisoccorso, sono intervenuti gli uomini del soccorso alpino valdostano e del soccorso alpino della Guardia di finanza di Entreves. 
L'alpinista, un italiano, era con due compagni di scalata quando è precipitato nel crepaccio, tra roccia e ghiaccio. Al momento della caduta non era legato agli altri.
Secondo le prime informazioni, non è morto sul colpo: in un primo momento, dopo la caduta, rispondeva alle urla dei compagni.
L'uomo, insieme con altri volontari della Croce Rossa, si stava allenando in vista dell'ascesa del Monte Bianco lungo la via normale italiana: con il supporto del soccorso alpino della guardia di finanza di Entreves, venerdì 22 luglio il gruppo di sei amici aveva in programma di portare sul "tetto d'Europa" uno striscione "per affermare i valori della pace". Il sentiero su cui erano impegnati prima dell'incidente normalmente non è difficile, ma è diventato insidioso dopo le recenti nevicate in quota. Da una prima ricostruzione dei soccorritori, l'uomo è infatti scivolato sul nevaio, cadendo nel crepaccio terminale. Nella stessa fessura finisce però anche la gelida acqua di scioglimento, che gli è colata addosso abbassando man mano la sua temperatura corporea, scesa fino a 26 gradi. A causare la morte può essere quindi stato un malore."

Facciamo un piccolo passo indietro e torniamo al Primo Luglio scorso, precisamente alle ore 9:12 di mattina: la cordata guidata dalla Guida Alpina Andrea Enzio e composta nell'ordine da Alberto Salvati, Pietro Passaretti, il sottoscritto e Danilo Davack raggiungeva, dopo 3 ore e 44 minuti dalla partenza dal "Rifugio Mantova", "Punta Gnifetti" (4554m) sul Massiccio del "Monte Rosa" (vedi post Punta "Gnifetti" - Capanna Margherita 4554m). Una emozione bellissima, condivisa tra noi quattro: ci conoscevamo da due giorni appena ma quello che nasce in montagna, anche se di breve durata, acquisisce forte intensità ed i momenti, le fatiche, l'avventura vissuti insieme rimangono impressi con maggior vigore.


La nostra cordata: da sinistra verso destra Danilo, il sottoscritto, Pietro ed Alberto. Sullo sfondo, sempre da sinistra verso destra, "Punta Dufour" (4634m), "Punta Zumstein" (4563m) e "Punta Gnifetti" (4554m). Un grazie speciale per la fotografia va ad Alberto Salvati.

Il giorno prima avevamo conquistato il nostro primo quattromila, la "Piramide Vincent" (4215m), la prova generale per questa giornata da ricordare e tutto era andato per il verso giusto a parte un repentino peggioramento delle condizioni meteo che ci ha fatto letteralmente scappare via dalla vetta (Piramide Vincent 4215m per la Via Normale).


La "Piramide Vincent" (4215m).

Invece in quest'ultima circostanza il tempo ci ha dato una grossa mano donandoci sole, assenza di vento e stabilità di condizioni. Tutto perfetto!
La gioia di quell'impresa però è durata poco perché il destino ha giocato un brutto tiro ad uno di noi: purtroppo Pietro è venuto a mancare nel tragico incidente di cui si parla nell'articolo ad inizio post. 
Torniamo indietro di qualche giorno. Sapendo che lui come me aveva in progetto di salire sul Monte Bianco lo avevo contattato il 12 Luglio scorso: avevamo condiviso l'entusiasmo, le informazioni ma anche i timori su quello che avremmo affrontato sulla montagna più alta delle Alpi... Poi è arrivata questa notizia che mi ha tagliato letteralmente le gambe. 
Mille dubbi e congetture si sono insinuati nella mia mente, mille quesiti: "Ne vale ancora la pena? E' giusto che io vada?"
La ragione mi dice di non andare, l'istinto si. Nella mia vita, come già dissi in un altro post (Monte Priora per la cresta di Sud-Est (Gola dell'Infernaccio) Invernale), ho imparato a seguire il suo forte richiamo. Mi è capitato parecchie volte di agire in maniera completamente opposta rispetto a quello che il raziocinio mi suggeriva, posso affermare però, guardando a quanto accaduto, che le scelte suggeritemi dalla voce dell'inconscio mi hanno portato sempre nella direzione giusta, facendomi seguire il percorso che è e deve essere scritto nel mio destino.
Si, andrò su quella montagna, come ho già detto la ragione instilla in me dubbi, timori, il mio istinto però mi dice di non fermarmi, vuole che io prosegua in questo cammino...
E così i giorni passano ed arriviamo al Sette di Agosto: mi sento con Luca, la guida alpina con la quale intraprenderò questa avventura. Dovevamo salire per il Dieci mattina ma le cattive previsioni meteo ci fanno desistere e decidiamo di rimandare per il Dodici di Agosto ossia quando le condizioni dovrebbero essere ottimali. Contatto il rifugio "Des Cosmiques", luogo dove passeremo la serata prima dell'ascesa, e loro mi confermano che non c'è alcun problema nello spostare la data del nostro pernotto dal Nove di Agosto all'Undici. Perfetto, tutto è stato deciso e confermato, ora non rimane che aspettare...
E intanto i dubbi e le insicurezze tornano a prendere campo, però il problema non è legato alla mancanza di fiducia nei miei mezzi fisici oppure alla mia scarsa preparazione atletica o tecnica, no, in quell'ambito mi sento perfettamente a mio agio: sono in perfetta forma grazie agli allenamenti continui ed alle escursioni che regolarmente svolgo da più di due anni a questa parte; certo l'ideale sarebbe allenarsi sopra i 2500 metri di altezza almeno...
Riguardo il problema della mancanza di ossigeno, del "mal di montagna" tanto per intenderci, mi sento abbastanza sicuro: durante la permanenza in quota di tre giorni sul Monte Rosa non ho avuto alcun problema di sorta, neanche una piccolo accenno di mal di testa quindi...


Panoramica guardando verso Est da "Punta Gnifetti" (4554m).

No, il mio malessere interiore è dovuto ad altro e non è facile da spiegare...
Ho queste strane sensazioni legate alla morte di Pietro che non se ne vogliono proprio andare: penso a mia moglie, ai miei figli... cosa farebbero senza di me?
Per esorcizzare questi demoni non devo fare altro che partire, questa è l'unica soluzione: quando tutto inizierà, quando tutto il mio essere sarà concentrato sull'ascesa, quando l'istinto prenderà il sopravvento allora tutto svanirà, come le altre volte...
L'unica cosa che mi lascia perplesso è che stavolta tutto sta acquisendo dei toni molto più gravi: che sia legato al fatto che affronterò la montagna più alta delle Alpi?
Ho i miei dubbi... 
"La montagna più alta rimane sempre dentro di noi", così scriveva Walter Bonatti: finalmente avrò la possibilità di toccare con mano i luoghi dove sono ambientate la maggior parte delle sue avventure, da me lette e rilette più volte. Questo pensiero mi conforta, mi da sicurezza e tiene lontani i demoni...
Sono le 6:30 di mattina di Giovedì 11 Agosto, sta piovendo, un ultimo controllo a tutto il materiale e finalmente si parte. Sarà un lungo viaggio...
Tutto fila liscio e dopo un paio di brevi soste raggiungo Morgex, in Valle d'Aosta, intorno alle ore 12:45: Luca è già sul luogo fissato in precedenza per il nostro appuntamento ad attendermi. L'ho conosciuto durante l'esperienza al Monte Rosa e benché non facesse parte della mia cordata ero rimasto in contatto con lui perché sapevo che era di Courmayer: durante la fase di discesa da "Punta Gnifetti" già stava maturando in me l'idea di salire sul "Monte Bianco", quindi chi meglio di lui per accompagnarmi in questa impresa?  
Una breve sosta per un caffè (che io non prendo, se no stasera chi si addormenta alle 20:00?) e per fare scorta d'acqua (nei rifugi i prezzi, anche per l'acqua sono alti) e siamo di nuovo in viaggio, direzione Courmayer. Una volta giunti lì seguiamo le indicazioni per il traforo del Monte Bianco (T1): speriamo non si debba stare in coda per troppo tempo... E invece no, rimaniamo sorpresi dal fatto che ci siano solo un paio di auto in coda di fronte a noi. Pago il biglietto ed al semaforo verde imbocco la rampa di accesso: siamo dentro uno dei tunnel più famosi del mondo ed in pochi minuti saremo dall'altra parte, sul versante francese. Ovviamente rispetto il limite di velocità (70 Km/h) e la distanza di sicurezza: Luca mi ha confermato che a molti suoi clienti sono arrivate multe salate per la non osservanza di queste regole. Sia chiaro che tengo questa condotta non per il vil denaro ma per la sicurezza mia e quella degli altri, bisogna ricordare che il luogo che stiamo attraversando è ad elevata pericolosità, ho ancora negli occhi l'incidente verificatosi nel 1999 e la relativa chiusura del traforo fino al 2002. Dopo aver percorso 11,6 Km ne siamo fuori, e notiamo che alla frontiera francese ci sono i militari: nessun problema, il nostro abbigliamento è eloquente. In pochi minuti siamo a Chamonix e mi dirigo, seguendo le indicazioni di Luca, in uno dei grossi parcheggi situati nei pressi della stazione della funivia. In pochi minuti troviamo un posto libero e una volta parcheggiata l'auto ci apprestiamo ad indossare gli abiti che domani porteremo con noi in vetta... Torniamo indietro nel tempo fino ai primi di Luglio.
Quando contattai Luca la prima volta mi disse di cercare posto per la notte al "Rifugio del Goûter": vado così sul sito web del rifugio ma trovo tutto completo fino a metà Settembre (per questo rifugio al prenotazione avviene solo online)! Il programma iniziale infatti era quello di salire in vetta tramite la "Via Normale francese" o "Via dell'Aiguille du Goûter" ossia quella che ha come punto di appoggio il rifugio omonimo, ascesa che normalmente si svolge in due giorni: il primo viene impegnato nell'avvicinamento e nella salita fino al "Rifugio del Goûter"; il secondo invece per la salita in vetta e ritorno. E' considerata la via di salita al Monte Bianco più "facile" tra le quattro vie normali: "facile" per modo di dire, si è sempre in alta montagna ed occorrono quindi una buona preparazione fisica e doti alpinistiche di rilievo, la "Cresta delle Bosses" poi... 
Come dicevo però questo progetto è destinato subito a fallire causa mancanza di posti letto al rifugio: pensare che ho fatto questa ricerca il giorno Sei Luglio per una prenotazione del Nove Agosto... Da quello che ho saputo poi il "Rifugio del Goûter" apre le prenotazioni nel mese di Aprile: nel giro di un paio di settimane i posti disponibili per Luglio e Agosto praticamente vanno a ruba.


Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.

Luca mi dice di provare con il "Rifugio Des Cosmiques", magari lì posti liberi ancora ce ne sono: chiamo il giorno dopo (accettano prenotazioni telefoniche), una gentile e cortese voce femminile risponde all'altro capo della linea ed alla mia richiesta di posti disponibili mi conferma che non ci sono problemi. Informo subito Luca e rimaniamo d'accordo di risentirci i primi di Agosto. Il fatto di avere come punto di appoggio il "Rifugio Des Cosmiques" significa che affronteremo l'ascesa per l'altra normale francese, quella più impegnativa e pericolosa: la "Via delle Tre Cime" ("Voie des Tres Monts"). Ovviamente mi documento su libri, sul web... ci sarà da divertirsi, specie durante l'ascesa del "Col du Mont Maudit"...
Questa via è chiamata delle "Tre Cime" e prende il suo nome dal fatto che per raggiungere la vetta del "Monte Bianco" occorre passare per il "Mont Blanc du Tacul" (4248m) e per il "Monte Maudit" (4465m, "Monte Maledetto" in francese): le due cime citate poc'anzi di solito vengono evitate durante l'ascesa passando per i rispettivi colli e lasciate per il ritorno se si hanno ancora energie...



Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.

Torniamo al presente, sono in fila per acquistare i biglietti della funivia che da Chamonix ci porterà fino all'Aiguille du Midi (3777m): pochi minuti sono più che sufficienti e noto con piacere che l'attesa per il nostro turno di salita sarà breve. Noto altresì con dispiacere che sono affissi ovunque cartelli che avvisano che il sito è ad alto rischio attentati terroristici, quindi prima di salire a bordo della funivia verrà effettuato un controllo sui nostri zaini... Anche in montagna, questo pensiero deve assillarci anche in montagna...
Finalmente tocca a noi e l'addetto alla sicurezza ci guarda, un cenno di assenso e ci lascia passare senza farci aprire gli zaini: l'abbigliamento, le attrezzature che abbiamo con noi, ma più che altro il colore della nostra pelle ed i nostri lineamenti hanno fatto il resto... Riguardo questo argomento preferisco fermarmi qui, lungi da me esprimere giudizi su quello che sta avvenendo ora nel mondo, in fondo questo è un blog che narra di "Avventure di Montagna..."
In pochi minuti siamo a quattromila metri, è tutto limpido e sereno e la vista è magnifica, non perdiamo tempo però ed attraversato un breve tunnel di ghiaccio e roccia (mi ha ricordato molto quello del "Cervino Piccolo" che è molto più lungo) raggiungiamo una balconata dove indossiamo i ramponi e ci leghiamo. I molti turisti presenti ci guardano esterrefatti, specie quando apriamo il cancelletto sulla ringhiera e ci incamminiamo sulla sottile quanto ripida cresta che scende lungo il ghiacciaio della "Vallée Blanche". Il primo tratto è veramente impressionante perché alla sinistra, 3000 metri più in basso si vede Chamonix, alla destra invece si nota un ripido pendio che va a morire nel ghiacciaio sottostante: non male come inizio!


Marcato in azzurro il percorso dalla "Aiguille du Midi" al rifugio "Des Cosmiques".

Dopo pochi minuti però il tutto acquisisce un'altra connotazione e ci ritroviamo a camminare con relativa tranquillità lungo la traccia che ci condurrà fino al "Rifugio Des Cosmiques" (3613m). Ora che siamo in un punto soggetto a meno pericoli chiedo a Luca se ci possiamo fermare un momento: il panorama è magnifico ed i miei occhi riescono ad abbracciare la maggior parte delle bellezze che contraddistinguono il massiccio del Monte Bianco. 


Panoramica scendendo dalla "Aiguille du Midi".
  
Ancora non riesco a credere di essere qui, in procinto di affrontare l'ascesa alla montagna che fino a qualche anno fa era la più alta d'Europa!


Marcato in rosso parte del percorso che abbiamo seguito per la vetta.

Percorso seguito dalla "Aiguille du Midi" al ghiacciaio della "Vallée Blanche": risalta, sullo sfondo, l'alta torre delle telecomunicazioni.

In pochi minuti, dopo una breve salita, raggiungiamo il rifugio, facciamo il check-in e andiamo a prendere possesso dei nostri letti. Fatto questo scendiamo nella sala principale e facciamo quattro chiacchiere prima che ci venga servita la cena: ancora non si parla di quello che dovremo affrontare domani, i discorsi con Luca spaziano su vari ambiti, anche diversi dalla montagna. Trovo il tempo di uscire e di scattare qualche fotografia dalla terrazza del rifugio, immagini che potete vedere proprio qui sotto: si riesce a vedere benissimo la traccia su neve che percorreremo nella prima parte del percorso, ossia quella fino alla "Spalla del Tacul". Si erge minaccioso anche il "Triangle du Tacul", la splendida piramide misto roccia-neve dove passa un'ardita via alpinistica che conduce alla vetta del "Mont Blanc du Tacul".

Il "Mont Blanc du Tacul" (4248m).

"Les Grandes Jorasses".

In lontananza "Les Grandes Jorasses", il "Dent du Géant" mentre più vicino, proprio dietro il "Triangle du Tacul" si erge lo splendido obelisco di granito rosso del "Grand Capucin": sono in uno dei luoghi che hanno fatto la storia dell'alpinismo!


Zoomata sul "Grand Capucin".

La cena viene puntualmente servita alle 18:30: che dire, abituato alla cucina dei rifugi italiani qui il livello scende parecchio. Ci si deve accontentare, l'importante è non mangiare cibi che possano essere deleteri per l'intestino: salto a piè pari la zuppa di colore biancastro che ci viene data come prima portata ed attendo per il secondo. Fortuna vuole ci sia della polenta con salsicce che annaffiamo con dell'ottima birra bianca prodotta dalla "Brasserie du Mont Blanc" (viene usata l'acqua che sgorga direttamente dal ghiacciaio del "Monte Bianco" per la sua produzione): non è andata proprio male (le salsicce ovviamente non sono come quelle che si mangiano in Italia e la polenta era quasi cruda...) anche perché si chiude il pasto con dell'ottima panna cotta come dessert. 
Intanto sulla bacheca della sala principale viene esposto l'ultimo bollettino del meteo: quello che leggiamo non è molto confortante, infatti per la mattina è previsto un brusco calo delle temperature accompagnato da forte vento e nuvole. Accidenti, fino a ieri sera era tutto ok! 

Zoomata sulla traccia che seguiremo di lì a poche ore per arrivare alla "Epaule du Tacul".

Briefing, è il momento di fare il punto della situazione con Luca. Prima di questo però faccio un piccolo salto indietro di due giorni, l'ultimo, ve lo prometto.
Luca, durante l'ultima conversazione prima della partenza, dopo essere salito per l'ennesima volta in vetta proprio per la "Via delle Tre Cime" mi diceva che non era sicuro discendere dalla vetta per la stessa via. I grossi e numerosi seracchi che si incontrano lungo la via nei pressi del "Col du Mont Maudit" durante la giornata, con il caldo ed il sole, possono divenire una fonte di pericolo mortale. Mi casca il mondo addosso... Prima di arrendermi definitivamente però chiedo a Luca se c'è un'altra soluzione: "Si Gianluca, possiamo scendere dalla via che passa per il "Rifugio del Goûter", la via che volevamo fare fin dall'inizio per l'ascesa. In questo modo compiremo la cosiddetta traversata del "Monte Bianco". Te la senti di farla?". Senza neanche pensarci la mia risposta è stata subito affermativa.


Il "Triangle du Tacul".

Torniamo al presente, Luca mi illustra i punti critici del percorso che ora vado ad elencare:
  1. Ascesa alla "Spalla del Tacul" (4075m), prestare attenzione per la pendenza che sale fino a 45 gradi e l'attraversamento di molti crepacci;
  2. Ascesa al "Col du Mont Maudit (4345m), ci sono da superare circa 50m con una pendenza media dai 50 ai 55 gradi, è presente una corda fissa che termina una decina di metri prima del colmo del pendio, poi, in mezzo al canale, sono presenti degli spuntoni di roccia (passaggi di II grado);
  3. Pericolo seracchi fino al "Mur de la Côte": da lì in poi, per qualche centinaio di metri la pendenza sale fino a 40 gradi;
  4. "Cresta delle Bosses" per esposizione e pendenza accentuate: prestare particolare attenzione anche per il forte vento previsto;
  5. "Couloir du Goûter" per il rischio caduta massi.
E' tutto molto chiaro, dovrò mantenere alta la concentrazione per molto tempo e lo sforzo fisico sarà importante: per qualsiasi accenno di problema poi Luca mi dice che vuole esserne informato immediatamente, aggiungo giustamente.


Il Dôme du Goûter (4306m).

Luca si va a coricare, io ne approfitto per pagare il conto e per dare un'ultima occhiata alle montagne dalla terrazza: il tempo sta effettivamente peggiorando, nuvole basse già coprono le valli sottostanti. 


Le velature del cielo e le nuvole sulle valli non promettono nulla di buono...

"Les Grandes Jorasses".

Il "Triangle du Tacul" e sullo sfondo il "Grand Capucin".

Rimango un altro poco nella sala comune, una capatina in bagno (meglio non commentare, dico solo che è presente un minuscolo lavandino lungo 40cm e largo 30cm per tutti gli ospiti) e poi a letto anche io. Non sono neanche le 20:00 e già molte persone stanno o tentano di dormire: metto la sveglia alle 00:45, per le 1:30 dobbiamo essere in marcia.
Mi arrampico sul letto (il mio posto è nella parte superiore di un letto a castello), mi copro con la coperta ed inizio il mio viaggio onirico...
Negli ultimi tempi mi rimane difficile prendere sonno in luoghi particolarmente affollati: troppo rumore, troppe distrazioni... Per sopperire a questa mia "lacuna" ho preso l'abitudine di indossare dei tappi negli orecchi oppure, quando il rumore circostante è molto alto, indossare delle cuffiette ed ascoltare della musica di sottofondo. Sfoglio la playlist del mio riproduttore musicale in cerca di ispirazione finché le mie dita si fermano sulla copertina di un album: due uomini in giacca e cravatta che si stanno scambiando una stretta di mano; l'immagine è resa surreale dalla contraddizione tra la loro freddezza, ed il fatto che la persona di destra sta bruciando.
Questa è una delle copertine più famose della storia del rock, sicuramente molti  di voi avranno già capito di quale album stia parlando.

Piccola parentesi musicale.
Realizzata dal celebre studio Hipgnosis di Storm Thorgerson, ispirato dall'idea che le persone tendono a nascondere i propri reali sentimenti per paura di rimanere "scottati", la copertina di "Wish You Were Here" dei Pink Floyd sintetizza appieno i concetti di cui è permeato l'album stesso: il senso di assenza, il non essere presenti in un rapporto di relazione.

La copertina dell'edizione dei 40 anni di "Wish You Were Here".

La letteratura musicale è piena di recensioni di questo capolavoro, sicuramente non è mia volontà "rubare" il lavoro ai critici del settore quindi per tutto quello che riguarda la storia, la genesi creativa, e quant'altro inserisco qui di seguito il link a Wikipedia:
Con la mia analisi invece mi volevo soffermare su una delle canzoni presenti che porta proprio lo stesso titolo dell'album:

Wish You Were here (Vorrei tu fossi qui)

Musica dei Pink Floyd
Testo di Roger Waters

So, so you think you can tell
Heaven from Hell,
Blue skys from pain?
Can you tell a green field
from a cold steel rail?
A smile from a veil?
Do you think you can tell?

And did they get you to trade
your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees?
Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change?
Did you exchange a walk on part in the war
for a lead role in a cage?

How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls
Swimming in a fish bowl.
Year after year,
Running over the same old ground.
What have we found?
The same old fears.
Wish you were here.


Dunque, dunque pensi di saper distinguere
il Paradiso dall'Inferno,
Cieli azzurri dal dolore?
Conosci la differenza tra un campo verde
da un freddo binario d'acciaio?
Un sorriso da un velo?
Pensi di saperli distinguere?

Ti hanno fatto barattare
i tuoi eroi con dei fantasmi?
Calde ceneri per alberi?
Aria calda per una fresca brezza?
Una fredda sensazione di agio per il cambiamento?
Ed hai barattato una ruolo da comparsa in guerra
con una posizione di comando in gabbia?

Quanto vorrei, quanto vorrei che tu fossi qui.
Siamo solo due anime smarrite
che nuotano in una boccia per pesci rossi.
Anno dopo anno,
correndo sul solito vecchio terreno.
Cosa abbiamo trovato?
Le stesse vecchie paure.
Vorrei tu fossi qui.

Traccia 4 dell'album "Wish You Were here" (1975) dei Pink Floyd

Tutti i testi sono coperti da copyright e sono di proprietà degli autori.



Salta subito all'occhio che le prime due strofe del brano sono composte da un susseguirsi di domande che vengono poste all'ascoltatore: l'ultima strofa può essere vista invece come una serie di risposte che la voce narrante fornisce alle domande poste poc'anzi. E' chiaro che questi quesiti sono tutte metafore di conseguenza aperte ad innumerevoli possibilità interpretative: per aiutarci torniamo al significato della copertina dell'album.
Le fiamme che avvinghiano la seconda figura non rappresentano un qualcosa di fisico, no, sono solo una interpretazione visiva dello stato d'animo nel quale si trova quella persona: sofferenza, depressione ma anche rabbia, rancore. La figura di sinistra invece stringe con assoluta indifferenza la mano di un uomo in fiamme, ed è come se non si accorgesse di nulla, come se il suo interlocutore fosse perfettamente "normale".
La prima strofa quindi, unita con quest'immagine, ha l'obiettivo di insinuare nella nostra mente dei dubbi, delle domande su chi abbiamo di fronte. 
Siamo sicuri che dove vediamo "paradiso", ovvero calma, serenità, non ci sia in realtà un "inferno", una persona che soffre e che ci mostra una maschera di finta tranquillità?
Che quello che esternamente risulta un "sorriso" sia invece mascherato da un "velo"?
Che chi abbiamo davanti e ci stringe la mano prova sentimenti diversi rispetto a quello che il suo gesto suggerisce?
Oppure, ribaltando il punto di vista, che dietro alla sua serenità non si nascondano invece problemi profondi, e siamo quindi noi, ignorandoli nella nostra cecità, a sfruttare la sua stretta di mano per provare una finta intesa?
Questi quesiti secondo me rappresentano quindi la difficoltà nel capire cosa effettivamente provano (e non cosa mostrano) le persone con le quali ci relazioniamo nella nostra vita di tutti i giorni. L'empatia, la capacità di immedesimarsi negli altri, di "mettersi nei loro panni", di capire realmente lo stato d'animo di chi ci sta di fronte: forse stiamo perdendo di vista il significato di questa parola...
Passiamo alla seconda strofa: ci troviamo ancora di fronte ad un'altra incalzante serie di domande, ma di tono diverso da quelle precedentemente poste: ora non riguardano più il saper distinguere, il saper osservare, no, ora ci viene chiesto se abbiamo compiuto dei fatti, delle azioni che magari possono essere viste come le conseguenze di una risposta negativa alla prima parte del testo, ossia di una mancata comprensione degli stati emotivi delle persone che ci circondano. 
Cosa può succedere quindi se dovessimo mal interpretare chi abbiamo davanti, scambiando quindi "l'inferno per il paradiso, sorrisi per veli", "scambiando i nostri eroi per dei fantasmi", perdere cioè persone autentiche, a vantaggio di persone false, i cui sorrisi sono velati?
La seconda strofa termina con una bellissima metafora che esprime questo concetto al meglio, cioè ci viene chiesto se abbiamo scambiato "un ruolo di comparsa in una guerra per un ruolo da protagonista in una gabbia". Questo sintetizza il ragionamento portato avanti finora: la difficoltà di comprensione del reale stato interiore di una persona può portare a rifugiarsi in finti sorrisi per scappare da qualcosa di meno "conveniente" però vero, abbracciando invece un qualcosa di bello ma effimero, falso.
Per tornare ad esempi concreti possiamo osservare che le due persone della foto sembrano degli uomini d'affari, e questo può darci delle indicazioni su cosa possano essere questi "ruoli da protagonisti in battaglie": persone che ci fanno emozionare promettendoci l'infinito, ma senza poi avere niente dentro di loro, oppure, come la foto suggerisce, persone che mettono al centro della loro attenzione il loro lavoro, la loro carriera, e non vedono invece quali sono le reali intenzioni ed i reali problemi delle persone con cui hanno a che fare. Magari proprio a causa della loro totale assuefazione rispetto ai loro scopi personali.
Veniamo ora alla terza strofa, quella delle risposte. Il testo inizia con il famoso "How I wish, how I wish You were here", il cui significato, alla luce di quanto detto finora, non si deve intendere come un vorrei che tu fossi qui "fisicamente", ma un vorrei che tu fossi qui "emozionalmente": vorrei tu mi capissi, vorrei tu condividessi con me le tue emozioni, quello che provi. L'immagine di queste "due anime smarrite che nuotano in una boccia per pesci rossi, anno dopo anno, correndo sul solito vecchio terreno", e che le uniche cose che trovano, pur essendo così vicini "fisicamente", sono "le stesse vecchie paure", è una sublime descrizione dell'impossibilità di relazionarsi profondamente con chi sta al nostro fianco, non riuscendo a capire e quindi a condividere l'intima realtà che è dentro ognuno di noi.
Questa canzone, questo album hanno più di 40 anni ma il messaggio che ci da è quanto mai attuale: in questa società di internet, dove i social la fanno da padrone, dove scriviamo e leggiamo ma in realtà non sappiamo quello che le persone che ci circondano (specie quelle che stanno più vicine) hanno dentro...
Chiusa parentesi.

Ovviamente sia per la tensione che per l'ora non riesco a dormire ovvero si intervallano momenti di lucidità ad altri in cui la mente non è più governata dalla ragione: è una sensazione strana perché è come se sognassi, ma è come se lo facessi con la supervisione del raziocinio che ogni tanto fa cambiare direzione al flusso di emozioni scaturite dall'inconscio.
La musica e le parole si mischiano con le persone, con i luoghi: quella più nitida è l'immagine di un luogo etereo dove galleggio sospeso non so dove e la mia bambina che arriva donandomi del cibo (praticamente mi imbocca con le sue manine) per poi andarsene con un bellissimo sorriso che le illumina il viso. Altre immagini confuse poi si susseguono durante questo lungo viaggio: mio figlio, mia moglie e altre persone a me care vanno e vengono in questo onirico caleidoscopio.
Ed il tempo passa, molto lentamente... questa notte sembra non volere mai finire...
Perché ho scelto proprio questo album dei Pink Floyd? Perché proprio "Wish You Were Here"? Cosa vuole dirmi il mio inconscio? 
Non ci riesco, stavolta non riesco proprio ad interpretare i messaggi nascosti dietro i simboli che mi vengono mostrati...
C'è un nesso con la morte di Pietro?  Si, se andiamo a prendere in maniera letterale il titolo dell'album un legame c'è, "Vorrei tu fossi qui": troppo scontato però, l'inconscio si muove su binari che vanno in direzioni che hanno nulla a che fare con l'ovvietà...
C'è un legame con quello che mi spetterà nelle prossime ore? Probabilmente si, forse è una valvola di sfogo per l'inevitabile tensione che si accumula prima dello svolgimento di questo tipo di imprese...
Se guardo però all'interpretazione che ho dato alla canzone noto che qualcosa non torna: magari sono stato troppo cieco da non capire lo stato d'animo di qualcuno?
Mi sono lasciato troppo prendere dal vortice delle cose effimere che questa vita rincorre ed ho dimenticato quello su cui veramente puntare?
Non ho condiviso con qualcuno delle emozioni velando il mio sorriso?
Domande, domande... Come per le prime due strofe di "Wish You Were Here"... Anche se mi sforzo all'inverosimile non riesco però a scrivere nella mia mente la "mia" terza strofa, quella delle risposte...

"La verità ce la dirà il tempo".
(Seneca)

Non faccio suonare la sveglia, non ce n'è bisogno, dentro la camerata c'è già un bel trambusto. Luca beatamente sta dormendo, quasi mi dispiace svegliarlo ma è ora di alzarsi.
Scendiamo dai letti, ci vestiamo e ci dirigiamo nella sala comune per la colazione. Già ci sono persone in coda, siamo in leggero anticipo. Alle 1:00 precise le porte si aprono e dopo pochi minuti siamo già seduti a tavola sorseggiando una fumante tazza di tè: accompagno questa bevanda con un panino dove ho spalmato una abbondante dose di nutella, serviranno parecchie energie nelle prossime ore.
Ritirato il thermos che avevo lasciato la sera, ora pieno di tè caldo, mi dirigo con Luca nella stanza dove avevamo lasciato tutto il materiale che non è consentito portare all'interno delle stanze ossia scarponi (per chi non lo sapesse nei rifugi si deve girare in ciabatte), ramponi, piccozza, bastoncini. Termino la vestizione indossando nell'ordine gli scarponi, le ghette, il giubbino, la cuffia e la frontale. Un ultimo controllo allo zaino e poi fuori: fa freddo, parecchio, non pensiamoci.


Marcato in azzurro il percorso dal rifugio "Des Cosmiques" alla "Spalla del Tacul".

Calzo i ramponi e li serro per bene, indosso i guanti, accendo la frontale, Luca mi lega a se con un nodo a otto ripassato (nodo delle guide), piccozza sulla mano destra, un bastoncino sulla sinistra (l'altro è ben riposto nello zaino) e si parte! Sono precisamente le 1:34 di mattina. Non siamo soli, alcune cordate sono davanti ed hanno un vantaggio di pochi minuti, altre sono dietro.
Stiamo scendendo lungo il Col du Midi (3532m), il colle che separa l'Aiguille du Midi dal "Mont Blanc du Tacul": è un ottimo riscaldamento questo, stiamo proseguendo in leggera discesa tenendo un buon passo dirigendoci verso la base del versante Nord del "Mont Blanc du Tacul" (4248m). Dopo un quarto d'ora la "pacchia" termina e inizia la lunga fase di salita che ci porterà fino alla "Spalla del Tacul": all'inizio, come avevo visto la sera precedente, il percorso segue alcuni lunghi tornanti che diventano man mano sempre più stretti fino a diventare una linea diritta appena superati un paio di crepacci.


Marcato in rosso il percorso seguito  per salire fino alla "Epaule du Tacul" (4075m).

La pendenza qui inizia ad essere importante (fino a 45 gradi) e l'ascesa, procedendo faccia a monte, deve essere supportata dall'uso della piccozza (dal suo "puntale", posto nella parte inferiore del bastone) e dal bastoncino oltre che dai ramponi che adesso mordono solo in punta. 
Dopo due ore esatte da quando siamo in marcia raggiungiamo la "Spalla del Tacul" (4075m) dove veniamo investiti da un forte vento: le previsioni purtroppo avevano ragione. 


La vetta del "Monte Bianco" (a sinistra) e la cima del "Mont Maudit" (a destra) viste dalla vetta del "Mont Blanc du Tacul". Immagine tratta dal sito http://panorama.montblanc.free.fr

Abbiamo modo di rifiatare, per arrivare al "Col Maudit" (4035m) (il colle che separa il "Mont Blanc du Tacul" dal "Monte Maudit") dobbiamo scendere di quota di circa 40 metri: in meno di un quarto d'ora percorriamo questa distanza e ricominciamo a salire. Proseguiamo, in silenzio, al buio, riesco a vedere intorno a me per un raggio di circa 10 metri. E' iniziato da un po' con alcune cordate il gioco del tira e molla: ne superiamo alcune, che a loro volta ci superano nuovamente e che superiamo ancora. La spiegazione è semplice ed è quella che noi avanziamo con un passo molto regolare cadenzato da Luca che è davanti, gli altri invece imprimono in alcuni punti forti accelerazioni per poi fermarsi per rifiatare, poi ripartono ecc...
Dove la pendenza è più accentuata a volte siamo costretti a fermarci ed attendere che le cordate davanti si mettano nuovamente in marcia, comunque la cosa bella è che adesso siamo un bel trenino formato da una ventina di persone che procedono tutte con lo stesso passo. La pendenza inizia a crescere ed ora il percorso prosegue per un lungo traverso: dobbiamo salire sul "Col du Mont Maudit" (4345m) tenendoci alla destra della vetta del "Monte Maudit" (4465m). Ogni tanto si sale di quota con dei brevi tornanti sulla sinistra ma la direzione del percorso è praticamente costante. Sopra di noi, nel buio, incombe la minaccia dei seracchi: meglio concentrasi sulla marcia, in silenzio, e non pensare a questo...


Marcato in azzurro il percorso dalla "Epaule du Tacul" alla vetta.

Dopo tre ore e venti minuti da quando siamo partiti raggiungiamo il punto che io ritengo sia il più impegnativo dell'intera via ossia la salita per il canale che porta sulla spalla Ovest della vetta del "Mont Maudit". Già gli alpinisti di fronte a me stanno salendo, è il turno di Luca: tolgo la protezione in gomma dal "becco" della piccozza, ripongo il bastoncino e sono pronto anche io. Finalmente ci siamo, ora potrò sconfiggere i miei demoni! Impugno con la mano sinistra la corda che scende dal buio, pianto la picca, controllo che tenga ed i caso positivo mi isso puntando un rampone e poi l'altro. E così via... finché non raggiungo degli spuntoni di roccia dove la corda finisce: ho già percorso 50 metri! 


Particolare dell'ascesa sulla spalla Ovest del "Mont Maudit". Immagine tratta dal sito http://panorama.montblanc.free.fr

Noto che sulle rocce sono presenti dei cordini: sicuramente sono degli ancoraggi utili per la fase discesa che a noi non interessa... 
I miei pensieri vengono interrotti da un alpinista che salito praticamente insieme a me, tenendosi alla sinistra della corda, ora mi vuole letteralmente passare sopra per dirigersi verso gli spuntoni di roccia alla nostra destra: mi fermo per lasciarlo passare, Luca sente la corda tendersi, si gira e notata la scena urla qualcosa al "furbetto" di turno. Grido a Luca se devo tenermi a sinistra delle rocce, cioè in questa direzione, o se debbo salirvi sopra: "No, vai bene così!"
Non posso più fare affidamento sulla corda, noto però che le rocce offrono dei buoni appigli e ne approfitto! La mia ascesa avviene alternando prese sulle rocce a colpi di piccozza. Sono talmente concentrato sull'avanzata che quasi non mi accorgo di essere spuntato sulla spalla Ovest del "Mont Maudit": non ci credo! Per superare il muro finale abbiamo impiegato meno di 11 minuti! Segno di spunta, 2 su 5! Mi affaccio sulla parete affrontata pochi istanti prima e osservo che il tipo che mi aveva superato è appollaiato sopra uno spuntone di roccia e sta preparando una corda per agevolare la salita dei suoi compagni di cordata, ancora puntini luminosi una settantina di metri più in basso.


Marcato in rosso il percorso seguito per salire prima sulla spalla Ovest del "Mont Maudit" e poi sulla vetta del "Monte Bianco". Da questa immagine si nota perfettamente il punto topico relativo all'arrampicata sulla parete attrezzata con corda fissa. 
Un ringraziamento a Claudio Scarponi (marchigiano come me!), autore di questa meravigliosa fotografia, scattata il 13 Agosto 2016 (un giorno dopo l'ascesa qui descritta) dalla "Aiguille du Midi".

Mi volto verso Luca e vengo investito da delle forti raffiche di un vento gelido e carico di umidità: debbo cambiare i guanti ed indossarne un paio più pesante, ora che userò meno le mani per l'avanzata c'è il rischio che gelino; visto che ci sono indosso anche il passamontagna e riprendo uno dei bastoncini.
Riprendiamo la marcia, ancora nel buio, per l'alba c'è ancora tempo...
Il percorso è in leggera discesa in questa fase, stiamo percorrendo un lungo traverso e guardando a destra la luce si perde nel buio del vuoto sottostante; alla sinistra invece ogni tanto passiamo di fianco ad alcuni seracchi: meravigliosi quanto pericolosi... I riflessi provocati sul ghiaccio dalla luce delle frontali sono unici ed i colori spaziano dal blu intenso, passando per l'azzurro fino al verde acqua; se penso però ai pericoli che celano...
Neanche chiedo a Luca di fermarci per fare delle foto, bisogna muoversi in fretta, questi giganti potrebbero crollare da un momento all'altro senza preavviso...

Piccola parentesi giornalistica.

Da "La Repubblica di Torino" del 18 Agosto 2016

"Tre alpinisti muoiono travolti dal distacco di un seracco nel gruppo del Monte Bianco
La tragedia ieri, ma i corpi sono stati ritrovati soltanto oggi sepolti sotto un metro di neve

18 agosto 2016
Tre alpinisti hanno perso la vita ieri sul Mont Maudit, nel massiccio del monte Bianco. Le vittime sono due donne, una slovacca e una polacca, e la loro guida, di nazionalità tedesca. I loro colpi sono stati ritrovati solo oggi. Molto probabilmente la cordata è stata travolta mentre risaliva un couloir del Mont Maudit.
Le indagini sono state affidate alla gruppo della gendarmeria di Chamonix. L'incidente  è avvenuto a quota 4.100 metri.
Martedì mattina il crollo di seracchi era stato segnalato "ma le testimonianze raccolte tra gli alpinisti che si trovavano nella zona indicavano che nessuno era stato preso o sepolto dalla valanga", ha spiegato il comandante del Ploton de gendarmerie de haute montagne di Chamonix, Stéphane Bozon, al quotidiano francese Le Dauphiné Liberé.
I corpi sono stati trovati sotto uno strato di neve di spessore compreso tra mezzo metro e un metro. Tutti avevano gravi traumi al cranio, quindi potrebbero essere morti sul colpo dopo essere stati trascinati per una distanza di 150 metri da una massa di neve e ghiaccio.
Il gruppo era partito con l'obiettivo di raggiungere la vetta del Monte Bianco attraverso la via dei tre monti, una delle due vie normali di ascesa alla vetta. Dopo una serata trascorsa al rifugio des Cosmiques (3.613 metri di quota), la cordata era partita all'una e quindici in direzione del Mont Maudit. Meno di quattro ore dopo i tre sono stati travolti dalla massa di ghiaccio e neve.
Il 12 luglio del 2012 alle pendici del Mont Maudit si era verificato uno dei più tragici incidenti sulle Alpi degli ultimi anni. Nove alpinisti erano morti e 11 erano rimasti feriti per il crollo di un seracco. Quattro erano inizialmente dispersi ma poi erano stati trovati illesi. Tra loro la guida alpina francese Daniel Rossetto, 67 anni, morto il 12 agosto scorso dopo una caduta di 250 metri sul Triangle du Tacul, ancora nel massiccio del Monte Bianco."

Nessuno con precisione saprà mai cosa sia successo, questo tipo di tragedia però è inevitabile: il crollo dei seracchi è un evento imprevedibile, questi giganteschi monoliti che si separano là dove il ghiacciaio, nel suo movimento verso valle, cambia la pendenza. Blocchi in equilibrio instabile, pronti a cadere o capaci di resistere per un tempo indefinito aggrappati alle pendici della montagna. Crollano magari ogni cento anni oppure da un momento all'altro senza nessun segnale e chiunque, anche l'alpinista più esperto, se è sotto tiro ci rimette la vita. Ed è quasi impossibile stabilire delle correlazioni tra le condizioni climatiche e il distacco di queste masse glaciali: ci sono tensioni interne inimmaginabili. Un terno al lotto? Può darsi.
Bisogna rendersi conto però che la montagna non è un campo da calcio e chi ne affronta altitudini e difficoltà deve essere disposto poi a sostenerne i rischi perché quelli esistono, sempre, anche prendendo tutte le precauzioni possibili. Col senno di poi posso dire che sono stato fortunato, parecchio...
Chiusa parentesi.

Scavalchiamo una grossa gobba ghiacciata ed in breve tempo raggiungiamo il "Colle della Brenva" (4309m): ancora cinquecento metri di dislivello positivo e siamo in vetta: sono trascorse poco meno di quattro ore.
Inizia la salita, ripida: ci apprestiamo a superare il "Mur de la Côte", 100 metri (parliamo di dislivello) in cui la pendenza sale fino a 40 gradi. Che dire, dopo aver affrontato le ascese di poche ore prima questa in confronto è uno zuccherino. Inizio a sentire un po' di stanchezza, ormai sono più di quattro ore che siamo in marcia: non ho problemi di respirazione, la quota non mi sta creando fastidi, sono le gambe che iniziano ad essere sempre più pesanti...


Marcato in azzurro il percorso dal "Mont Maudit" alla cima del "Monte Bianco" e su parte della "Via dell'Aiguille du Goûter".

Dopo questo tratto a darmi una mano c'è un piccolo pianoro dove ho la possibilità di alleggerire il carico sui muscoli degli arti inferiori: questo eden però termina all'improvviso così come era venuto e si ricomincia quindi a salire con pendenza però molto meno accentuata. Siamo quasi a 4500m di altezza ed il vento ruggisce con forte intensità alla mia destra: fa sempre più freddo e le gambe pesano sempre di più...
All'inizio di quest'ultima parte di ascesa era vicina a noi una cordata che ora non riesco più a distinguere tra le nuvole: sono avanti oppure dietro? Li avevamo superati oppure lo avevano fatto loro?


Marcato in azzurro parte del percorso su carta IGM.

Tutto sta diventando confuso. Spengo la frontale, la luce dell'aurora è sufficiente e continuo, un passo dopo l'altro. Il mio essere è concentrato sul mantenere la corda che mi lega a Luca quasi a sfiorare il terreno, tornante dopo tornante, passo dopo passo...
Passiamo di fianco alle "Petits Rochers Rouges" (4577m), mancano poco più di 200 metri alla vetta...
Un torpore mi avvolge completamente, anima e corpo: il freddo intenso portato dal vento sta letteralmente "addormentando" il lato destro del mio viso, sto perdendo sensibilità, no, non è un problema, non c'è bisogno lo dica a Luca...
Come in un sogno avanzo in questa atmosfera ovattata dove l'unico rumore è quello prodotto dal forte vento: la corda si tende, più di una volta e gli strattoni che Luca dà riescono a scuotermi da questa apatia, si, il termine giusto è proprio questo, apatia. 
Dopo un po' ci ricasco, dico oppure penso di dire a Luca che sono al limite delle mie forze, questo non lo ricordo bene: per tutta risposta sento arrivare l'ennesimo strattone...
Ce la devo fare, ce la devo fare, ce la devo fare...
Sento la presenza del mio amico Stefano, quella di Pietro: immagini confuse tra le nebbie...
Un passo dopo l'altro, all'infinito...
Siamo in cima! Non riesco a crederlo possibile, non c'è più niente davanti a noi, solo sotto ogni tanto si riescono ad intravedere paesaggi lontani, sopra la vastità del cielo...
Sono le ore 7:17 del 12 Agosto 2016, dopo 5 ore e 43 minuti di marcia ininterrotta abbiamo raggiunto il tetto d'Europa!


Il vetta al "Monte Bianco", un sogno realizzato. Notare il forte vento che sposta la cinghia della macchina fotografica.

"Gianluca dammi la macchina fotografica!" mi dice Luca. "Si, ok, è vero!" rispondo. "Meglio non togliersi i guanti, le mani rischierebbero di congelare!".
Noto solo ora come i nostri indumenti, gli zaini, i bastoncini e la piccozza siano ricoperti da uno spesso strato di ghiaccio: anche la macchina fotografica lo è! Speriamo funzioni!


La parte destra della mia faccia è completamente gelata! Sul giubbino si vedono i segni delle cinghie dello zaino: solo lì non c'è ghiaccio!

Siamo praticamente soli, noto sulla destra una coppia di alpinisti che si riparano dal freddo dietro un cumulo di neve e ghiaccio. Le parole mi escono con difficoltà, ho la lingua "impastata" dal freddo...
Luca scatta alcune fotografie, o almeno ci prova, si rallegra con me per l'obiettivo raggiunto e poi mi dice che è ora di andare: le condizioni meteorologiche sono veramente proibitive, è pericoloso stare qui, dobbiamo sbrigarci a scendere di quota. A breve transiteremo per la "Cresta delle Bosses", con questo vento che quasi ci solleva da terra sarà molto pericoloso...
Un'ultima occhiata a quel poco di panorama che si riesce a vedere tra le nuvole che corrono veloci ed è già iniziata la nostra fase di discesa percorrendo un lungo crestino. Noto che siamo soli, nessuna cordata partita insieme a noi sta scendendo per questa via.
La cosa per certi versi mi inorgoglisce, siamo gli unici a compiere questa magnifica traversata... almeno per oggi!



Marcato in azzurro il percorso dalla vetta al "Dôme du Goûter".

Adesso che si prosegue in discesa la stanchezza che mi ha accompagnato per l'ultimo tratto prima di giungere in vetta sembra essere svanita, l'unica variabile "impazzita" adesso è il vento: le raffiche improvvise infatti ci creano non pochi problemi, specie nei punti meno riparati e più esposti (questa è un'ovvietà!); a volte siamo costretti a puntellarci letteralmente a terra. Dopo pochi minuti passiamo vicino all'affioramento roccioso del "Rocher de la Tournette" (4677m): siamo quasi giunti alla "Cresta delle Bosses", il quarto punto topico lungo il nostro percorso. 
Si inizia con la "Petite Bosse" (4547m), qui il problema non è dato dalla pendenza ma dalla larghezza della cresta che è molto esigua e dalla notevole esposizione presente su ambo i lati. Testa china (per prendere meno vento possibile), passo veloce e sicuro e... Noooo, incontriamo altri alpinisti che stanno salendo!
Fermarsi al lato della traccia, qui, su questa cresta minuscola in balia del vento è una esperienza non proprio esaltante!
Appena l'ultimo alpinista è transitato ci rimettiamo velocemente in marcia e finalmente usciamo fuori da questo tratto per ritrovarci nella "Grand Bosse" (4513m): nessun problema di esposizione qui e di larghezza di traccia, solo la pendenza è parecchio accentuata, ma neanche tanto in confronto a quanto affrontato stamattina presto. Bene, meglio così, siamo a 4 su 5!
Raggiungiamo la "Capanna Vallot" (4362m), situata sulla destra rispetto alla nostra direzione di marcia, un bivacco dove potersi fermare in caso di necessità: bisogna ricordare che il "Monte Bianco" supera in altezza di parecchio gli altri quattromila alpini e qui le condizioni meteorologiche sono estremizzate. Non siamo stati fortunati, immaginavo di poter stare più tempo in vetta, scattare fotografie meravigliose ma il tempo qui è così, può cambiare repentinamente ed è possibile trovare freddo intenso anche in piena estate (come oggi...), per non parlare poi del vento che può raggiungere i 150 Km/h. 
Proprio in questo punto la via che stiamo seguendo si ricongiunge con la "Via Italiana" che parte dal rifugio "Francesco Gonella". Il vento ed il freddo intenso non tendono a diminuire come speravamo: dobbiamo scendere di quota per avere condizioni migliori e per poterci finalmente fermare per un breve spuntino, d'altronde sono quasi sette ore che marciamo in mezzo a questo "inferno bianco" ed i nostri corpi necessitano di una carica di energia.
Scendiamo, di poco e Luca dice di fermarsi: in questo punto sembra che il vento soffi con meno intensità. Tolgo il passamontagna, apro il thermos e con avidità ingurgito 5 o 6 bicchieri di buon tè ancora bollente: ci voleva proprio! Mangio un po' di frutta secca e guardo la traccia di fronte a noi, qui c'è molta più visibilità e noto che a breve si ricomincerà a salire: di fronte a noi si erge il "Dôme du Goûter" (4304m) e marceremo fin sulla sua cima prima di continuare con la nostra discesa. Saranno si e no una cinquantina di metri di dislivello positivo ma il solo pensiero di salire nuovamente mi angoscia: "Ma cosa vuoi che sia questa salita!" dico a me stesso. "Hai anche bevuto e mangiato, forza!"
Appena ripartiti superiamo di slancio questa breve salita seguendo l'itinerario che prosegue poi in discesa lungo il versante Nord-Ovest del "Dôme du Goûter": di fronte a noi, circa quattrocento metri più in basso si alza l'"Aiguille du Goûter" (3863m) dove sono posizionati i rifugi omonimi: si, perché ce ne sono due, il "nuovo" ed il "vecchio".
Adesso fa un po' meno freddo e la discesa continua per un vasto pendio: la neve, complice l'ora (sono appena passate le 8:00), inizia ad essere meno dura ed i toni, in questa fase perlomeno, diventano meno cupi...



Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante la discesa per la "Via dell'Aiguille du Goûter".

Ora ci fa compagnia un tiepido sole: il tempo sta migliorando come previsto dall'ultimo bollettino del meteo della sera precedente. La cosa mi rattrista perché permane il rammarico di non aver potuto godere  di condizioni favorevoli durante la brevissima permanenza in vetta: vorrà dire che tornerò nuovamente... E già il mio umore cambia!
Ora siamo sull'"Aiguille du Goûter" e la traccia, con alcuni sali e scendi, segue la cresta nevosa che è posizionata proprio sopra i due rifugi: incontriamo lungo il nostro cammino il "nuovo", quello inaugurato pochi anni fa (28 Giugno 2013, 120 posti), quello dalle forme e dai materiali avveniristici (è totalmente autonomo energeticamente); proseguiamo, finché tramite un ripido pendio (attrezzato con dei corrimano formati da paletti e corde) non scendiamo fino al "vecchio" (smontato parzialmente, il locale invernale è sito qui e può contenere al massimo 20 persone). 
Riponiamo le piccozze ed i bastoncini, indossiamo il caschetto e ci apprestiamo ad affrontare la lunga discesa per la parete di sfasciume e detriti che ci condurrà fino al rifugio "Tete Rousse" (3167m).
Lasciamo i ramponi ai piedi (il terreno è un misto roccia-ghiaccio) e si inizia! Ho messo il punto esclamativo non per enfatizzare un sentimento di entusiasmo, no, l'ho inserito per accentuare il senso di pericolo incombente che mi ha pervaso appena iniziata la discesa: questa via, all'apparenza "facile", è purtroppo irta di pericoli. Il suo acme, chiamato "Grand Couloir du Goûter", è un traverso di una settantina di metri tristemente noto per i numerosi incidenti mortali che vi sono accaduti: basti pensare che dal 1990 ad oggi si contano ben 77 morti e oltre 200 feriti. Da anni si discute riguardo questa questione ma quasi niente è stato fatto per mettere in sicurezza il tratto sotto esame: addirittura durante l'estate 2015 il "Rifugio du Goûter" apriva e chiudeva a seconda di come erano le condizioni del meteo... Ma dove sta il pericolo vi chiederete? Questo canale parte praticamente dell'"Aiguille du Goûter" e scende fino al "ghiacciaio du Bionnassay": è tramite questa via che la montagna porta a valle tutti i suoi detriti ed è sempre qui che si convogliano ad esempio le pietre che un escursionista smuove per errore facendole cadere. Ovviamente le cadute di roccia sono più frequenti in estate a causa delle temperature che si alzano ma anche dal numero elevato di persone che vi transitano.
Riguardo il "Grand Couloir du Goûter" inserisco qui di seguito il link ad un interessante articolo pubblicato su GognaBlog dove Luciano Ratto, il primo alpinista a conquistare tutti i Quattromila delle Alpi e fondatore con Franco Bianco del Club 4000, analizza gli incidenti mortali accaduti sul "Grand Couloir du Goûter" e fornisce delle possibili soluzioni per risolvere questo annoso problema: "Il Canalone della morte".
Luca mi avverte subito: "Attento! Non far cadere pietre, potresti uccidere qualcuno!"



Marcato in azzurro il percorso dal "Dôme du Goûter" a poco dopo il "Rifugio Tête Rousse".

Il primo tratto che caratterizza questa discesa ha una forte pendenza e proprio per questo è stato attrezzato con cavi metallici: danno proprio una grossa mano, specie in discesa, i passaggi in questione sono di I°. Dopo questa prima parte di percorso (che sembra non aver mai termine...) giungiamo in un tratto dove alcuni semplici passaggi su roccia si inframezzano a sentiero: non mi piace, il terreno è ricoperto di massi instabili (si muovono al semplice contatto) ed ogni passo deve essere misurato sia per la propria sicurezza che per quella degli altri. Raggiungiamo la sommità di una cresta rocciosa, discendiamo per un ripido pendio parzialmente innevato (anche il fango...), superiamo un altro breve tratto attrezzato (...l'ultimo? Luca mi dice di si!) finché ci troviamo di fronte al "Grand Couloir du Goûter". Luca ha già notato che dall'altra parte stanno salendo alcuni alpinisti (io sono troppo concentrato nella mia discesa per accorgermene): "Gianluca, dobbiamo passare prima di loro, sarebbe troppo rischioso incrociarli nel canale! Dobbiamo muoverci in fretta, sia per il pericolo dei detriti che ci possono arrivare in testa che per non transitarvi insieme a loro! Adesso vado avanti io, tu stammi dietro!". Volevo sentire queste parole, prima ci leviamo di torno questo impiccio, meglio è! 
Un'occhiata verso l'alto con l'orecchio pronto ad udire eventuali rumori di pietre che cadono... "Vai!"
Luca parte, di corsa! Il terreno è un misto neve-ghiaccio-sassi-terra ma quello che ci aiuta è il fatto che la pendenza dove avviene il calpestio è praticamente nulla e i ramponi mordono alla perfezione tenendoci attaccati a terra. In meno di una ventina di secondi ci ritroviamo dall'altra parte: cinque su cinque! Ormai è fatta, ormai posso far calare un po' l'alto livello di concentrazione sinora tenuto.


Il bastione roccioso del "Aiguille du Goûter".

Poco dopo sopraggiungono gli alpinisti che stavano salendo; mentre attendiamo che passino mi soffermo ad osservare il canale: ripido, irto di detriti, pericoloso...
Grazie Luca!
Scendiamo per un breve tratto di roccia finché non raggiungiamo una conca innevata. La sagoma del "Rifugio Tête Rousse" (3167m) che già intravedevamo da un po' ora è più vicina, in tutti i sensi...
Dopo essere stati legati insieme per più di nove ore, Luca recide il nostro cordone ombelicale: "Dai Gianluca, è ora di sciogliersi!"
Sciolgo il nodo dalla mia imbragatura, tolgo il caschetto e cerco di tenere dietro all'andatura di Luca, che ora, libero della mia "zavorra", fila come un treno.
In pochi minuti siamo al rifugio, togliamo i ramponi (che non indosseremo più) e li mettiamo ad asciugare sulla balaustra della terrazza, entriamo e ci sediamo...
Sono le 11:19, dopo 9 ore e 45 minuti di marcia ininterrotta possiamo rilassare sia il corpo che la mente...
Ovviamente per reintegrare i liquidi mi ci vuole proprio un'altra bella birra bianca, come quella di qualche ora fa...
In fondo alla sala comune è presente un grosso poster con un'immagine (sicuramente presa da un elicottero) della vetta del "Monte Bianco" vista da Nord: "Dai Gianluca, scattagli una foto, è proprio una bella immagine! Ma si, hai ragione, lì almeno il tempo era bello!?".

La gigantografia all'interno del "Rifugio Tête Rousse" dove si vede perfettamente la vetta del "Monte Bianco": a sinistra si notano alcune cordate salire per la "Voie des Tres Monts"; a destra altre cordate salire per la "Via dell'Aiguille du Goûter". Per non farci mancare niente noi siamo saliti da sinistra e scesi da destra!

Dopo esserci parzialmente cambiati di abito e dopo aver rimesso in ordine dentro i nostri zaini, riprendiamo la marcia: sono precisamente le 11:59 ma a me, vista la levataccia, sembra sia pomeriggio inoltrato, solo la posizione del sole mi conferma di avere torto.
Adesso stiamo percorrendo una lunga cresta rocciosa e, bastoncini alla mano, riusciamo ad imprimere un buon ritmo al nostro passo: per un breve tratto rimango alle calcagna di Luca, dopo un po' demordo e lui si allontana sempre più. Anche qui non mi trovo a mio agio con il terreno, la pista che percorriamo è un misto di ciottoli e grossi massi: l'ideale per provocarsi una distorsione ad un ginocchio e/o caviglia. Devo andare con il mio passo, per forza, l'ultima volta che ho esagerato in questi tipi di percorso ho avuto fastidi ad un ginocchio per alcuni giorni (vai con impacchi di ghiaccio!).
In meno di un'ora raggiungiamo quel che resta di alcune vecchie baracche ormai in disuso da parecchi anni dove trovo Luca che beatamente si è disteso su di una grossa roccia: ora c'è un bel sole e la temperatura è finalmente gradevole.
Il sentiero prosegue svoltando bruscamente verso sinistra seguendo il fondo di un canale. Durante la discesa incontriamo parecchi daini che si lasciano avvicinare, anzi sono loro che si accostano, forse in cerca di cibo.


Giovane daino in cerca di cibo.

Ora c'è molta gente lungo la via, questa parte di sentiero è molto trafficata perché c'è la possibilità di arrivare a toccare la neve (siamo sul "ghiacciaio du Bionnassay") ed osservare da vicino questi splendidi animali selvatici, sacrificando pochi minuti di cammino: bambini, coppie di giovani, famiglie, anziani, la varietà di persone che incontro è parecchio eterogenea. Luca intanto è avanti, mentre io, adesso che posso, scatto qualche fotografia rimanendo ovviamente dietro...
Sono quasi giunto alla stazione di arrivo del treno a cremagliera della "Tramway du Montblanc" presso il "Nid d'Aigle" (2372m), alcuni comodi tornanti e ci sono.


Marcato in azzurro il percorso dal "Dôme du Goûter" al "Nid d'Aigle".

Ore 13:19, dopo 11 ore e 45 minuti di marcia questa splendida avventura è giunta quasi al suo termine: non perdo tempo però, vado subito alla biglietteria e compro i biglietti. Siamo stati molto fortunati, abbiamo trovato due posti per la corsa delle 13:40: non potete immaginare la ressa che c'è qui! Luca mi ha detto che l'ultima volta che è stato qui ha dovuto aspettare per oltre quattro ore, questo perché i treni non sono frequenti (c'è un solo binario) e in questo periodo di vacanze il "Nid d'Aigle" viene letteralmente preso d'assalto per le motivazioni sopracitate.
Siamo però gli ultimi della lunga fila e con mesta rassegnazione già pensiamo di trascorrere tutto il tragitto (un'ora e dieci minuti) in piedi...
Ed invece troviamo due "comodi" posti su di una panca di legno: va bene così!
Per le persone a bordo di questo treno stare qui è una gioia, per noi invece questo è l'unico mezzo di trasporto che ci può condurre fino a "Saint-Gervais": tutti a scattare foto, a ridere, scherzare... Mi lascio contagiare anche io da questo entusiasmo, sarebbe bello portare qui la mia famiglia anche se il biglietto non è proprio così economico: per il solo ritorno il costo è di 28€! 
Come direbbe il mitico Bombolo: "Ammazza 'sti francesi!"
Poi siamo noi italiani i soliti furbetti...


La bella quanto affilata cresta della "Aiguille de Bionnassay" (4052m) vista dal canale che conduce al "Nid d'Aigle".

Questi pensieri però come arrivano se ne vanno perché la stanchezza prende il sopravvento e chiudiamo gli occhi, dormendo...
Dopo un'ora e dieci minuti di viaggio raggiungiamo il capolinea nella graziosa cittadina di "Saint-Gervais" e scesi (finalmente!) da questo trenino ci dirigiamo verso la stazione dei treni (quella vera!). Il prossimo treno per Chamonix parte alle 16:05, facciamo i biglietti e nella sala di aspetto ci togliamo di dosso alcuni indumenti: finalmente si sente un po' di calore estivo (per dirlo io che non sono un grande amante del caldo significa che su in alto faceva veramente freddo!).
Beviamo una bibita al distributore automatico (il bar c'è ma è chiuso?!), convalidiamo i biglietti e ci dirigiamo al nostro binario dove troviamo il treno che già ci aspetta.
Anche qui brevi pisolini durante il tragitto finché non arriviamo finalmente a Chamonix: per fare circa 20Km abbiamo impiegato più di mezzora, questo per le tante fermate effettuate.
Un'ultima camminata attraversando il centro per raggiungere il parcheggio dove ieri pomeriggio avevamo lasciato l'auto (sono passate meno di ventiquattro ore ma a me sembra una vita!) e finalmente mi posso togliere gli scarponi... Momento bellissimo...
Mi cambio maglia, indosso un paio di pantaloncini corti e sono pronto per tornare a casa, a più di 600Km di distanza...
Dopo aver lasciato, salutato e ringraziato Luca a Morgex, con la promessa di risentirci il prossimo anno per una nuova e più impegnativa avventura salgo in auto e mi dirigo verso Courmayer. 
Come sottofondo, dopo un po' che cerco ed armeggio nell'autoradio (nella sua memoria per la precisione), scelgo la canzone "Perfect" dei Depeche Mode: non ho più voglia di ascoltare i Pink Floyd. Perché proprio questa? mi domando. Non ha senso con quanto vissuto... Mah, sarà la stanchezza...
Il perché di questa scelta, di primo acchito casuale, lo avrei scoperto i giorni successivi, purtroppo...
L'avventura con i quattromila prosegue con Punta Giordani 4046m per la Via Normale.

P.S. Come già evidenziato lungo il post, le cattive condizioni meteorologiche non ci hanno permesso di scattare ulteriori fotografie: mi scuso con chi si aspettava un maggior numero di immagini. La cosa oltretutto scoccia parecchio anche me, ma tra correre il rischio di avere un arto congelato o peggio ed avere più foto, e portare a casa la pelle ho scelto la seconda delle due possibilità. Vorrà dire che per avere più materiale dovrò tornare, magari salendo per la via italiana stavolta... 




Link per album Fotografico su Google Foto






Galleria Fotografica

Marcato in rosso parte del percorso seguito per la vetta del "Monte Bianco" per la "Via delle Tre Cime".


Panoramica scendendo dalla "Aiguille du Midi" prima verso Sud e poi...


... verso Sud-Est.



Panoramica unendo le due fotografie precedenti.


Percorso seguito dalla "Aiguille du Midi" (3777m) al ghiacciaio della "Vallée Blanche": risalta, sullo sfondo, l'alta torre delle telecomunicazioni.


Il "Mont Blanc du Tacul" (4248m).


Il Dôme du Goûter (4306m).

"Les Grandes Jorasses".


Zoomata sul "Grand Capucin".


Da questa immagine risulta netta la traccia che seguiremo di lì a poche ore per arrivare alla "Epaule du Tacul" (4075m).


Le velature del cielo e le nuvole sulle valli che preannunciano l'arrivo del brutto tempo.


L'ombra della "Aiguille du Midi" sul  ghiacciaio della "Vallée Blanche": da notare alcune tende con persone accampate per la notte.


Il "Mont Blanc du Tacul" e la sua "spalla" (4075m).


"Les Grandes Jorasses".


Il "Triangle du Tacul" e sullo sfondo il "Grand Capucin".


Marcato in rosso il percorso seguito  per salire fino alla "Epaule du Tacul".



La vetta del "Monte Bianco" (a sinistra) e la cima del "Mont Maudit" (a destra) viste dalla vetta del "Mont Blanc du Tacul". Immagine tratta dal sito  http://panorama.montblanc.free.fr



Particolare dell'ascesa sulla spalla Ovest del "Mont Maudit". Immagine tratta dal sito  http://panorama.montblanc.free.fr


Marcato in rosso il percorso seguito per salire prima sulla spalla Ovest del "Mont Maudit" e poi sulla vetta del "Monte Bianco". Da questa immagine si nota perfettamente il punto topico relativo all'arrampicata sulla parete attrezzata con corda fissa. Grazie della foto a Claudio Scarponi, immagine scattata il 13 Agosto 2016 (un giorno dopo l'ascesa qui descritta) dalla "Aiguille du Midi".


Il vetta al "Monte Bianco", un sogno realizzato. Notare il forte vento che sposta la cinghia della macchina fotografica.


"...ore 7:17 del 12 Agosto 2016, dopo 5 ore e 43 minuti di marcia ininterrotta abbiamo raggiunto il tetto d'Europa!"


La "Aiguille du Goûter" (3863m).


Il bastione roccioso del "Aiguille du Goûter" ed il percorso seguito per la sua discesa.


La gigantografia all'interno del "Rifugio Tête Rousse" dove si vede perfettamente la vetta del "Monte Bianco": a sinistra si notano alcune cordate salire per la "Voie des Tres Monts"; a destra altre cordate salire per la "Via dell'Aiguille du Goûter". 


"Guglie di granito che si innalzano verso il cielo".


Uno sguardo a Nord-Est alla sottostante Valle di Chamonix.


Giovane daino in cerca di cibo.


La bella quanto affilata cresta della "Aiguille de Bionnassay" (4052m) vista dal canale che conduce al "Nid d'Aigle" (2372m).




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