Ciao, sono Gianluca, un innamorato delle proprie passioni. L'avventura è il tema portante, intesa come distacco dalla realtà quotidiana, per immergersi in un contesto dove l'istinto predomina sulla razionalità; intesa come scoperta della verticalità, nel sentirsi completi quando si va sempre più su, sfidando le proprie paure ma contemplando l'abisso. In questo spazio sono condivise le mie esperienze, magari per invogliare qualcuno a ripeterle, magari per fornire qualche utile consiglio.


mercoledì 5 aprile 2017

"Laghetto" di Palazzo Borghese dal rifugio "Sibilla" Invernale


"... per comprendere, per avere delle risposte sul perché spesso il mio essere sente il bisogno di mollare tutto e rifugiarsi sulla vetta di una montagna. No, intendo proprio questo, trovare ricovero in un luogo arduo da raggiungere, chiamare casa un posto tra i più ostili... 
Perché "casa" non è quella dove torniamo tutte le sere a dormire, no, la "casa" è quel luogo dove spogliati di tutto entriamo in contatto con i nostri sentimenti più profondi e reconditi, quelli che ci fanno sentire parte di tutto e ci fanno comprendere appieno quale dovrebbe essere il nostro ruolo in questo mondo."



Primo Aprile 2017  Partenza dal terzultimo tornante della strada che conduce al rifugio "Sibilla" (1380m) ore 7:31
Rientro al terzultimo tornante della strada che conduce al rifugio "Sibilla" ore 14:15
Durata escursione 6h 44' (pause merenda di 12' all'andata e di 9' al ritorno presso i "due alberi" nella parte di sentiero non segnalata)
Tempo di marcia: 6h 23'
Lunghezza tragitto: 19,6km circa
Grado di difficoltà: EEi
Dislivello in salita: 1315m 
Dislivello in discesa: 1303m 
Quota massima: 1889m sul sentiero sopra il "Laghetto"
Monti Sibillini su Wikipedia
Monte Sibilla su Wikipedia
Palazzo Borghese su Wikipedia
Monte Argentella su Wikipedia
Lago di Pilato su Wikipedia




Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.





Percorso:
Partenza dal terzultimo tornante della strada che conduce al rifugio "Sibilla" (1380m) seguendone il tracciato fino al  rifugio "Sibilla" (1540m). Da lì, per un tornante, si continua sopra il rifugio seguendo la carrareccia che prosegue in direzione Ovest (sentiero del Parco n.156). Dopo aver percorso circa 6Km si arriva in vista del rifugio "Mazzaroni" posizionato su di un piccolo pianoro scendendo di pochi metri rispetto alla sede stradale.
Una volta di fronte al rifugio si prosegue per prati sulla sinistra, in direzione Ovest, scendendo leggermente di quota, fin quando si nota una traccia che prosegue lungo tutto il versante di Sud-Est della Sibilla. Si prosegue per questa traccia quasi sempre netta (in alcuni punti vi sono alcuni vecchi pali della segnaletica del Parco) fino ad arrivare nei pressi di un canale detritico sotto la "Cima Vallelunga": lo si risale superandone il margine (omino di pietre). In questo punto c'è il bivio con il sentiero del Parco n. 154 (segni bianco-rossi) che si dovrà seguire, passando per la "Fonte dell'Acero", fino ai "Pianetti", un piccolo altopiano alla base del "Monte Porche". Da qui si abbandona il sentiero per scendere liberamente (tracce) all'interno della conca carsico-glaciale dove è situato il "Laghetto". Per il ritorno si è seguito lo stesso percorso dell'andata in maniera inversa.



Relazione:
Siamo giunti al bivio per il rifugio "Sibilla" nei pressi della località "Isola San Biagio" di Montemonaco, a differenza delle volte precedenti la strada è aperta e non è presente alcun cartello così decidiamo di proseguire con la nostra auto fin dove possiamo: risparmiarsi anche 100 metri di tragitto da percorrere a piedi qui è confortante, ad essere sinceri marciare lungo una strada secondo me non è proprio il massimo della vita.
Proseguiamo lentamente schivando buche, avvallamenti e sassi ed alla fine raggiungiamo il terzultimo tornante prima del rifugio "Sibilla" ad una quota approssimativamente di 1380m: qui dobbiamo desistere, un grosso accumulo di neve ci sbarra la strada ma questo non è un problema perché ci siamo risparmiati circa 4Km di percorso lungo la strada. Bene, l'escursione inizia sotto i migliori auspici! Una volta parcheggiata l'automobile al di fuori dalla sede stradale e preparato il nostro materiale io e Mirko partiamo alla volta del rifugio "Sibilla" lontano poco meno di un chilometro. La nostra marcia è spedita ed in breve tempo raggiungiamo la nostra prima meta constatando che tutto è ancora desolatamente spoglio: chissà quando riaprirà?
Continuiamo lungo la strada e dopo aver superato un tornante che ci porta al di sopra del rifugio "Sibilla" (1540m), il percorso prosegue in direzione Ovest praticamente sul ciglio della carrareccia (sentiero del Parco n.156) poiché nella sede stradale è ancora presente parecchia neve: stiamo attraversando il versante Sud del "Monte Sibilla" marciando in leggera salita. Ho sempre evitato di percorrere questo tratto, mi ricorda troppo lo scempio perpetrato negli anni '60 a questa montagna: volevano addirittura collegare Montemonaco a Ussita...
Mah, lasciamo perdere...

Dalla cosiddetta "strada della Sibilla" uno sguardo ad Est.

In breve tempo raggiungiamo una zona in cui parte della strada è franata che superiamo senza alcuna difficoltà, finalmente siamo in vista del rifugio "Mazzaroni": un luogo di ricovero utilizzato dai pastori in estate, anche questo ancora chiuso. Qui abbandoniamo la carrareccia e, scendendo sulla sinistra, ci dirigiamo sul piccolo pianoro dove è posizionato il rifugio. 

Nei pressi del rifugio "Mazzaroni", sullo sfondo da destra verso sinistra le vette del "Monte Argentella", "Quarto San Lorenzo", "Cima dell'Osservatorio", "Cima del Redentore" ed il "Pizzo del Diavolo".

Notiamo che la primavera sta arrivando anche qui e l'erba nei prati che ci circondano è di un bel verde intenso ed i crocus spuntano come i funghi dopo una giornata di pioggia di fine estate.


L'ingresso del rifugio "Mazzaroni".

Adesso dobbiamo risolvere un piccolo enigma ossia quello di trovare la vecchia pista che, ricongiungendosi con il sentiero del Parco n.154, ci condurrà fino alla "Fonte dell'Acero": percorreremo un sentiero al quale non viene più fatta la manutenzione da tanti anni, non troveremo quindi segni bianco-rossi tanto per intenderci.
La cosa che ci mette tranquillità però è che avevamo già percorso una parte di questo sentiero l'estate scorsa durante l'escursione sul Monte Porche, Cima Vallelunga e Monte Sibilla da Foce di Montemonaco: in quella circostanza avevamo "attaccato" poco sotto lo spigolo inferiore della "Zeta" della "Sibilla" scendendo quasi in verticale di una quindicina di metri per un ripido pendio finché non avevamo incrociato la traccia che ci avrebbe poi portato alla nostra meta.

La vetta della "Sibilla" dal rifugio "Mazzaroni".

Oggi siamo più a Est e per raggiungere il punto sopracitato dobbiamo percorrere più di un chilometro, così almeno indica la carta dei sentieri. 

Per prati, alla ricerca della traccia da seguire. Sullo sfondo i monti che formano il "Cordone" del Vettore.

Proseguiamo quindi per prati, in direzione Ovest, scendendo leggermente di quota rispetto al rifugio "Mazzaroni", quando di fronte a noi notiamo una traccia netta che appare e scompare  attraverso i numerosi canali dove ancora è presente parecchia neve.
Perfetto! La nostra marcia ora prosegue altalenando dei saliscendi e superando questi numerosi quanto "infidi" canali innevati: in alcuni punti la neve è morbida e con il solo scarpone si riesce ad inciderne la superficie in altri invece la neve è quasi ghiacciata...

Uno dei tanti canali innevati incontrati durante il tragitto.

Stavolta non ci facciamo prendere per il naso e visto l'andazzo estraggo immediatamente la piccozza dalla cinghia dello zaino ed inizio a scavare degli scalini dove necessario: in questo modo procediamo in sicurezza e cosa più importante non dobbiamo indossare i ramponi che comunque abbiamo con noi.

E vai di piccozza, i ramponi scottano!

Questa tiritera va avanti per una buona mezzora finché il sentiero scarta sulla sinistra scendendo bruscamente: senza neanche accorgercene stiamo già percorrendo la parte di percorso da noi conosciuta, d'ora innanzi non ci saranno più incognite per il prosieguo dell'escursione e la tensione, già di parecchio sotto i livelli di guardia, cala ulteriormente. 

Panoramica della lunga cresta della "Cima Vallelunga" da questa angolazione un po' inusuale.

Come dicevo scendiamo di quota rapidamente improvvisando alcuni tornanti seguendo l'evidente pista, aiutati in questo compito anche dai vecchi pali arrugginiti e divelti che una volta costituivano la segnaletica di questo sentiero ormai abbandonato. 


Tra i miei amati Sibillini: si, sono proprio felice!

Raggiungiamo gli stessi alberi dove meno di un anno ci eravamo concessi una pausa e decidiamo di farlo anche ora, sono più di due ore che siamo in marcia ed il nostro corpo ha bisogno di nuova energia: qui siamo riparati dal fastidioso vento che spira da Ovest e ci sono un paio di rocce dove potersi sedere, meglio di così?!

Sulla destra i "famosi" due alberi dove effettueremo entrambe le soste di quest'escursione.

Mangiato e bevuto a sazietà ci rimettiamo in movimento seguendo la traccia che dopo pochi minuti si perde in una lunga morena detritica che scende direttamente dalla "Cima Vallelunga": a differenza della volta scorsa non si vedono i massi sottostanti perché coperti dalla neve e da una patina di "sporco" dovuta forse ad una piccola slavina...


Verso la "Fonte dell'Acero", appena superata la morena detritica.

Attraversiamo velocemente questo tratto dando ogni tanto un'occhiata ai minacciosi speroni rocciosi di "Cima Vallelunga" che ci sovrastano finché non raggiungiamo l'omino di pietre che contraddistingue la fine di questo tratto. 

Alcuni degli affilati spuntoni rocciosi della "Cima Vallelunga".

Saliamo su un breve pendio innevato per ritrovarci sul sentiero del Parco n.154 come indicato dal alcuni segni bianco-rossi presenti su alcune rocce.

Sui "Pianetti", in leggera salita.

La "Fonte dell'acero" è di fronte a noi però stavolta non saliremo per la via usuale bensì devieremo sulla destra, alla ricerca di pendii senza neve che ci lasceremo invece per il ritorno: saliremo sul colle che sovrasta la "Fonte dell'Acero" con un ampio giro ed una volta sulla sua cima potremo proseguire liberamente verso i "Pianetti", tanto poi la pendenza sarà pressoché costante.

Dai "Pianetti" uno sguardo a Est, verso la "Sibilla".

Superata quest'ultima erta ritroviamo in lontananza, davanti a noi, un paletto con segno bianco-rosso: senza dover indossare i ramponi abbiamo raggiunto il nostro obiettivo,  da qui fino alla fine dell'escursione direi che siamo a posto!

Si iniziano ad intravedere i bastioni dolomitici di "Palazzo Borghese".

Proseguiamo sulla neve in leggera salita verso il bordo della grossa conca carsico-glaciale che è compresa tra il "Monte Argentella", "Palazzo Borghese" ed il "Monte Porche": il tempo è ancora bello a parte qualche velatura sugli strati alti dell'atmosfera e i bastioni dolomitici di "Pizzo di Palazzo Borghese" risaltano magnificamente nel blu del cielo.
Ci siamo quasi, tra poco vedremo se i nostri sforzi sono stati vani o no...

Sul bordo della conca carsico-glaciale posta tra il "Monte Argentella" (a sinistra), "Pizzo di Palazzo Borghese" (al centro) ed il "Monte Porche" (a destra, se ne vede solo il fianco).

Ad essere sinceri ne sarebbe valsa la pena ugualmente ma ogni tanto sembra che la fortuna giri dalla nostra parte così il "Laghetto" tanto agognato appara alla nostra vista...

In posa, il "Laghetto" sullo sfondo.

Per Mirko è la prima volta, io invece ero già stato qui e l'ultima volta fu meraviglioso (vedi post del Quindici Maggio 2016 - "Laghetto" di Palazzo Borghese da Foce di Montemonaco): avevo visto per la prima volta il "Chirocefalo della Sibilla" ed era stata un'emozione fantastica.


Ecco a voi il "Chirocefalo della Sibilla" (Chirocephalus Sibyllæ), cugino del ben più famoso "Chirocefalo del Marchesoni" che vive nel "Lago di Pilato". Fotografia di Marco Arcangeli.

Oggi sicuramente non lo vedremo, è ancora troppo presto, fa ancora troppo freddo mentre alla vita serve il calore: bisognerà solo attendere qualche settimana, il tempo necessario affinché la natura faccia il suo corso... E noi saremo nuovamente qui!
Scendiamo velocemente lungo il pendio sulla sinistra tagliando il bordo del grosso invaso che trova il suo culmine più avanti, con il "Laghetto". 

I due bastioni rocciosi che contraddistinguono il "Pizzo di Palazzo Borghese".

Giungiamo ad un'altra piccola fonte dove è presente una trocca simile a quelle della "Fonte dell'Acero": noto con compiacimento che l'acqua sgorga tra la neve e si è già creata una sua via nella sua discesa verso il basso.


Il "Laghetto".

Ormai manca davvero poco e senza neanche rendercene conto abbiamo già raggiunto le rive del "Laghetto": è ancora ricoperto da una leggera patina di ghiaccio ma a breve brulicherà di vita.


Finalmente sulle rive del "Laghetto".

Quanto vorrei accamparmi qui ed assistere a tutti i piccoli mutamenti che avverranno nei prossimi giorni!
Osservando meglio la superficie ed ascoltando con attenzione, notiamo come l'acqua sottostante si muova e gorgogli, come fosse dotata di una vita propria: che meraviglia!


Meraviglia!

Alla nostra sinistra, quelle che da lontano avevamo scambiato per impronte di animali risultano invece essere una coppia di orme umane e provengono dal "Piano delle Cavalle": qualcuno è salito da Foce, ad oggi ancora Zona Rossa, per il sentiero che sale dal Camposanto per il cosiddetto "Canale" del "Palazzo Borghese"... 
Eh già...


Panoramica video dalla riva del "Laghetto".

Respingiamo questi pensieri e ci lasciamo prendere, aggiungo con molta facilità, da quello che ci circonda...
Filmati, fotografie, panoramiche a 360°... Praticamente sfoderiamo tutto il nostro arsenale tecnologico!


Panoramica a 360 gradi dalla riva del "Laghetto".

La cosa più importante però è quella che rimarrà dentro di noi, che ci porteremo dentro per il resto della nostra vita: il ricordo di questo luogo, di questa giornata, lontani da tutto e da tutti a stretto contatto con quanto di più profondo esista su questo pianeta... 
Emozioni che non hanno prezzo e non possono essere acquistate da nessuna parte...
Sono preoccupato, stiamo lasciando un mondo peggiore di quello che abbiamo trovato quando siamo nati ai nostri figli...


Mirko, piccolissimo, sulla riva opposta: questo per far capire le dimensioni del "Laghetto".

Tra qualche anno forse lo spettacolo al quale sto assistendo non esisterà più: la desertificazione sta avanzando, si sta muovendo sempre più a Nord per non parlare poi di quello che sta accadendo ai ghiacciai perenni ed alle calotte polari...
Si, c'è da stare preoccupati perché si parla, in questo siamo molto bravi, ma alla fine non si fa nulla...

Piccola parentesi musicale


Going Backwards...

Going Backwards (Andando all'indietro)

Musica e testo di Martin Lee Gore

Non siamo ancora lì
Non siamo evoluti
Non abbiamo rispetto
Abbiamo perso il controllo

Stiamo andando all’indietro
Ignorando la realtà
Andando all’indietro
Stai contando tutte le vittime?

Non siamo ancora lì
dove dovremmo essere
Siamo ancora in debito
per le nostre follie

Stiamo andando all’indietro
Tornando indietro nella storia
Andando indietro
aggiungendo miseria su miseria

Possiamo tenere traccia in tutti i satelliti
Vedendo tutto in modo chiaro
Guardiamo gli uomini morire in tempo reale
Ma non abbiamo nulla dentro
Non sentiamo niente dentro

Non siamo ancora lì
Abbiamo perso le nostre anime
Il corso degli eventi è stato stabilito
Stiamo scavando la nostra stessa fossa

Stiamo andando all’indietro
armati con nuove tecnologie
Andando indietro
Ad una mentalità da uomo delle caverne

Siamo in grado di emulare su consolle
Uccidendo possiamo controllare
per i sensi che sono stati atrofizzati
Perché non c’è niente dentro
Non sentiamo niente dentro

Non sentiamo niente dentro
(Non sentiamo niente, niente dentro)
Non sentiamo niente dentro
(Non sentiamo niente, niente dentro)
Non sentiamo niente dentro
(Non sentiamo niente, niente dentro)
Non sentiamo niente dentro
(Non sentiamo niente, niente dentro)
Non sentiamo niente dentro
(Non sentiamo niente, niente dentro)

Perché non c’è niente dentro
Perché non c’è niente dentro

Traccia 1 dell'album "Spirit" (2017) dei Depeche Mode

Tutti i testi sono coperti da copyright e sono di proprietà degli autori.

Non devo aggiungere nulla a queste tristi quanto vere parole, purtroppo descrivono perfettamente la mera e cruda realtà del mondo in cui viviamo ed è questa cupezza ed oscurità che pervadono l'album nel quale questa canzone funge da "apripista". Il testo di questo brano è un'amara riflessione sul processo involutivo della specie umana rispetto invece all’evoluzione tecnologica ed agli strumenti di controllo, sull'incapacità di vedere un'uscita dall’alienazione e dalla estraneità dei tempi che stiamo attraversando. 


Questa immagine si commenta da sola, con le sole parole non riesce a descrivere quello che si prova "passeggiando" in questi luoghi...

Cosa ci manca? 
Di cosa ha bisogno l’uomo post-moderno? 
Una risposta ce la dà il titolo dell'album che non ho ancora menzionato, ossia "Spirit", lo spirito, inteso come anima...
Ci manca il contatto con le cose più intime, con quanto di più antico e profondo esiste su questa terra...


Uno scatto con la macchina fotografica appoggiata sulla superficie ghiacciata del "Laghetto".

Non avevo certo bisogno di questa canzone per arrivare a simili conclusioni, è già da un po' che rifletto su questi concetti: i testi di "Spirit" possono essere una chiave di lettura per comprendere, per avere delle risposte sul perché spesso il mio essere sente il bisogno di mollare tutto e rifugiarsi sulla vetta di una montagna. No, intendo proprio questo, trovare ricovero in un luogo arduo da raggiungere, chiamare casa un posto tra i più ostili... 


Dalla riva Sud-Occidentale del "Laghetto" vista sulla "Sibilla".

Perché "casa" non è quella dove torniamo tutte le sere a dormire, no, la "casa" è quel luogo dove spogliati di tutto entriamo in contatto con i nostri sentimenti più profondi e reconditi, quelli che ci fanno sentire parte di tutto e ci fanno comprendere appieno quale dovrebbe essere il nostro ruolo in questo mondo.
Forse non siamo consapevoli del fatto che vivendo questa caotica quanto misera vita, lontano dalle radici del nostro essere, stiamo diventando apatici, vuoti e  "non sentiamo niente dentro..."


Zoomata sul più piccolo dei bastioni rocciosi di "Pizzo di Palazzo Borghese": notare come sulla cresta sommitale siano presenti segni di distacchi recenti. Nella fotografia sottostante, scattata in occasione dell'escursione del Quattro Giugno 2016 - Lago di Pilato e "Laghetto" di Palazzo Borghese da Foce di Montemonaco, si può vedere come detti distacchi non siano presenti.


"... durante l'ascesa lungo il "Canale", quando si giunge sotto la parete Est del "Palazzo Borghese", il monte, con i suoi bastioni rocciosi, assume la forma di un grande ed imponente castello in rovina."

Chiusa parentesi musicale.


Un ultimo sguardo verso il "Laghetto" e si risale!

Riprendiamo la marcia risalendo lungo il bordo della depressione dove è situato questo angolo incontaminato ed in pochi minuti raggiungiamo nuovamente i "Pianetti". 


Nuovamente in prossimità dei "Pianetti".

Per la discesa verso la "Fonte dell'Acero" ci divertiremo: stavolta non cercheremo zone senza neve bensì faremo il contrario.


Dai "Pianetti" un'ultima occhiata a Sud-Ovest.

L'obiettivo adesso è il grosso canale dove prima avevamo individuato quello che rimaneva di una slavina e per fare questo procederemo seguendo una linea dritta, scendendo per i pendii innevati in modalità "scivolata controllata" (vedi post Ventotto Giugno 2015 - Punta di Prato Pulito, Cima del Lago, Cima del Redentore, Pizzo del Diavolo, Lago di Pilato, Monte Vettore da Forca di Presta).


In "scivolata controllata" nei pressi della "Fonte dell'Acero", sullo sfondo la "Cima Vallelunga".

E' una pacchia ed in meno di dieci minuti raggiungiamo il punto che ci eravamo prefissati. 
Adesso inizia l'ultima salita che affronteremo, quella che ci porterà nuovamente al rifugio "Mazzaroni". Giunti in prossimità degli alberi dove avevamo effettuato una pausa in mattinata decidiamo di fermarci nuovamente: reintegrare i liquidi persi con la sudorazione è importantissimo ed è una operazione che dovrebbe essere fatta continuamente.


Seconda ed ultima pausa in prossimità dei due alberi, sullo sfondo il "Monte Vettore".

Piccola parentesi scientifica.
La disidratazione è pericolosa e le ragioni sono molteplici. Innanzitutto perché in un corpo disidratato il meccanismo della sudorazione viene limitato (in modo da risparmiare la poca acqua ancora rimasta nell'organismo) e la mancata secrezione di sudore causa un notevole surriscaldamento del corpo che può portare al cosiddetto colpo di calore.
Bisogna aggiungere che in un organismo con carenza di liquidi il sangue circola meno bene nei vasi sanguigni, di conseguenza il cuore si affatica e può insorgere, nei casi estremi, il collasso cardiocircolatorio.
Chi pratica attività sportiva è un soggetto particolarmente a rischio disidratazione per la maggior quantità di sudore prodotta durante lo sforzo: si calcola che per la reintegrazione sia necessario 1 ml di acqua per ogni caloria spesa.
Tenendo presente che in inverno il fabbisogno di liquidi per un organismo normale è di circa 2 litri di acqua al giorno mentre in estate sia sale a circa 2,5-3 litri è pacifico che le scorte d'acqua da portarsi appresso debbano essere commisurate all'impegno fisico previsto per l'attività che si ha intenzione di svolgere.
Durante lo svolgimento di un'attività di tipo alpinistico il problema si accentua maggiormente sia per il clima generalmente ventoso, sia per la maggiore intensità dei raggi solari, sia perché viene eliminata più acqua con la respirazione.
Concludendo, per l'escursione odierna, calcolato un consumo calorico di 2248 calorie, dovrei reintegrare circa 2 litri d'acqua solo per lo sforzo effettuato; considerando il fatto di essere in quota si arriva più o meno a 3 litri; aggiungiamo che normalmente in questa stagione si bevono circa 2 litri di acqua al giorno arriviamo ad un totale di ben 5 litri di acqua.
Di solito nel periodo invernale porto con me una bottiglia da 1,5 litri di acqua ed un thermos da 0,75 litri di tè; in estate scompare il thermos e viene aggiunta un'altra bottiglia da 1,5 litri di acqua: ecco perché il mio zaino (da 28 litri) è sempre pieno e bello pesante!
Chiusa parentesi scientifica.

Ricaricate le batterie ci rimettiamo in marcia con un passo lento (che in realtà non lo è) ma costante: i nevai adesso non sono più un problema, sia per le impronte scavate in mattinata, sia per la temperatura più alta che rende la neve più morbida.


Da uno dei costoni del "Civitetto" vista sulla "Valle del Lago di Pilato" e sull'abitato di "Foce di Montemonaco".

Poco prima di raggiungere il rifugio "Mazzaroni", in un punto non particolarmente significativo Mirko attira la mia attenzione: "Gianluca, c'è una vipera! L'ho calpestata senza rendermene conto e ora si è nascosta tra gli arbusti!"
Torno sui miei passi e con il bastoncino smuovo l'erba ed il terreno nel punto indicatomi da Mirko. "E' vero, si intravede la sua coda! Mirko, prendi la macchina fotografica."
Continuo a muovere il bastoncino con delicatezza quando d'un tratto la povera bestiolina stanca del fastidio che le sto procurando esce fuori all'improvviso e dopo aver percorso un paio di metri verso valle si dilegua sotto un anfratto. Muovo nuovamente il bastoncino nel punto in cui è scomparsa ma ormai l'ho persa. "Mirko, sei riuscito a fotografarla?
Forse, dal display della macchina fotografica non si capisce..."
Dall'immagine sottostante voi riuscite ad individuarla?


Viperina viperetta, dove sei?

Aggiungo che era di colore marrone chiaro-grigio con delle macchie verdi e non più lunga di mezzo metro. Guarda, guarda, senza saperlo abbiamo fatto un'incontro con la "Vipera dell’Orsini" (Vipera Ursinii), la più piccola presente in Italia e stanziale solo sull’Appennino Abruzzese ed Umbro-Marchigiano.
Documentandomi ulteriormente poi ho scoperto che vive nei pascoli montani al di sopra dei 1400m e che il suo periodo di attività è dal mese di Aprile fino a Settembre: nella stagione invernale si rifugia fra rocce calcaree fessurate esposte a Sud e ricoperte di ginepri; non apprezza particolarmente le temperature elevate, quindi durante il giorno la si vede solo nel corso delle mezze stagioni. Purtroppo è una specie a rischio estinzione e aggiungo, concludendo, che questa, come ogni altra vipera, è munita di denti veleniferi: questi sono però di soli 3 mm e quindi non permettono di iniettare le tossine in profondità ad esseri di grossa taglia, come l’uomo. 


Lungo il sentiero non segnalato, poco prima di giungere al rifugio "Mazzaroni".

Quindi? Come comportarsi in caso di morso? Bisogna portare appresso il siero antivipera?

Piccola parentesi di primo soccorso.
Facciamo un po' di chiarezza partendo proprio da quest'ultimo quesito. Meglio non somministrare il siero antivipera, in Europa si stima una mortalità maggiore per la cattiva somministrazione del siero che non per il veleno iniettato: il siero deve essere conservato in frigorifero e può essere trasportato solo per poche ore per poi deteriorarsi rischiando di causare gravi disturbi se iniettato; l'uso presuppone un suo corretto utilizzo (meglio se l'iniezione è fatta da un medico) in quanto potrebbe causare manifestazioni allergiche che possono portare a shock anafilattici e se iniettato troppo velocemente o per via endovenosa anziché intramuscolare può anche provocare un collasso.
In caso di morso quindi la cosa migliore da fare è chiamare i soccorsi e/o raggiungere un presidio medico.
In attesa dell'intervento del personale qualificato bisogna mantenere la calma cercando di muoversi il meno possibile, spremere la ferita in modo da far uscire un po' di veleno e pulirla con l'acqua aiutandosi con un fazzoletto pulito. Mai usare alcool o disinfettanti sulla ferita perché il veleno della vipera è idrosolubile mentre a contatto con l'alcool reagisce chimicamente diventando ancora più tossico. 
Mai e poi mai incidere la ferita per succhiarne il veleno come si vedeva fare nei film western: il veleno circola attraverso il sistema linfatico e solo in piccola parte in quello sanguigno, tale operazione quindi è inutile e metterebbe solo a repentaglio la vita del "furbone" che la compie.
Se il morso interessa un arto bisogna stringere ma non molto con una fasciatura a monte della ferita per bloccare la circolazione linfatica (o venosa), non quella arteriosa: per stringere basta una cintura, un cordino, un legaccio ecc... e controllare che si percepiscano pulsazioni a valle del bendaggio.
Ovviamente questi discorsi valgono se si è stati effettivamente morsi da una vipera e per fare questo bisogna controllare se sulla ferita sono presenti i due fori provocati dai canini: se notiamo solo l'arcata dentale siamo in presenza del morso di un serpente non velenoso.
Chiusa parentesi di primo soccorso.


Nuovamente sui prati antistanti il rifugio "Mazzaroni".

Riprendiamo la marcia ed in pochi minuti giungiamo sul piccolo pianoro dove è situato il rifugio "Mazzaroni", una mezzora di cammino ci separa dalla nostra auto: l'escursione, almeno da parte mia,  è praticamente terminata... Ripeto, non mi piace camminare lungo una strada...


La "Sibilla".

La cosa che adesso conforta la mia mente è il pensiero che sotto la superficie del lago qualcosa è già cambiato rispetto ad un paio d'ore fa e continuerà a farlo nei prossimi giorni...
E noi torneremo, perché "sentiamo qualcosa dentro..."


P.S. Tengo a precisare che i sentieri seguiti in questa escursione a tutt'oggi non erano e non sono soggetti ad alcun divieto da parte delle autorità competenti in seguito agli eventi sismici dei mesi scorsi svoltisi nei Monti Sibillini.



Link per album Fotografico su Google Foto






Galleria foto e video in preparazione.







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