Ciao, sono Gianluca, un innamorato delle proprie passioni. L'avventura è il tema portante, intesa come distacco dalla realtà quotidiana, per immergersi in un contesto dove l'istinto predomina sulla razionalità; intesa come scoperta della verticalità, nel sentirsi completi quando si va sempre più su, sfidando le proprie paure ma contemplando l'abisso. In questo spazio sono condivise le mie esperienze, magari per invogliare qualcuno a ripeterle, magari per fornire qualche utile consiglio.


giovedì 20 luglio 2017

Sentiero del "Centenario" sul Gran Sasso

"... Quella appena vissuta è stata una tra le esperienze alpinistiche ed umane più belle abbia mai vissuto, una sorta di cammino iniziatico che si è svolto in mezzo ad una natura selvaggia e quanto mai pericolosa, un viaggio lungo, bello ed estenuante alla ricerca dei nostri limiti e delle nostre paure, riscoprendo il nostro io più profondo: si, anche questo è il sentiero del "Centenario"..."


Dodici Luglio 2017
Partenza dal parcheggio lungo la strada per Campo Imperatore al Km 5,800 circa dal bivio con la SS 17 Bis (1809m) ore 4:42 
Rientro a Fonte Vetica (1632m) ore 16:56 
Durata escursione 12h 14' (svariate pause di cui ho perso il conto effettuate su ogni vetta raggiunta, ogni vado, luoghi ameni ecc...)
Tempo di marcia: 7h 19'
Lunghezza tragitto: 20,4km circa
Grado di difficoltà: EEA
Dislivello in salita: 1531m 
Dislivello in discesa: 1635m 
Vette raggiunte: 2214m Pizzo San Gabriele, 2385m Monte Brancastello , 2327m Cima del vado del Piaverano, 2362m Torri di Casanova, 2469m Monte Infornace, 2561m Monte Prena, 2564m Monte Camicia
Quota massima: 2564m Monte Camicia
Gran Sasso su Wikipedia
Corno Grande su Wikipedia
Monte Brancastello su Wikipedia
Monte Infornace su Wikipedia
Monte Prena su Wikipedia
Monte Camicia su Wikipedia
Sentiero del Centenario su Wikipedia


Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.






Percorso:



Relazione:
Quella che sta per iniziare si prospetta come una bella giornata, è buio ma il cielo è terso e la luna ancora splende magnifica illuminando la nostra via. Sono le 4:42 di mattina ed abbiamo lasciato la mia auto nel piccolo parcheggio di fianco alla strada che conduce a Campo Imperatore e stiamo percorrendo con l'aiuto delle nostre frontali la strada sterrata (sentiero 6 vecchia numerazione, 215a e 215 nuova numerazione) leggermente in salita che ci condurrà fino a Vado di Corno (1924m), la sella tra il Monte Brancastello (Est, alla nostra destra) ed il Monte Aquila (Ovest, alla nostra sinistra), dove è presente una targa che indica l'inizio del sentiero del "Centenario".


La targa del CAI a Vado di Corno.

Questo percorso è stato inaugurato nel 1974 dal CAI dell’Aquila per festeggiare il centesimo anniversario dalla loro fondazione ed è una lunga quanto impegnativa traversata (in alcuni tratti attrezzata) che si snoda lungo la cresta orientale del Corno Grande del Gran Sasso partendo da Vado di Corno per arrivare fino a Fonte Vetica.
Un sentiero come dicevo duro, impegnativo, ricco di saliscendi dove la concentrazione da tenere deve essere sempre alta: lungo il percorso si devono mettere le mani sulla roccia svariate volte, dall'inizio alla fine; si devono affrontare parecchi punti esposti senza protezioni di alcun genere; ci si deve confrontare con un tipo di roccia che definire pessima è un complimento. La roccia calcarea che forma queste montagne non è stabile, specie lungo questo percorso, così come nel Corno Grande (vedi post Torrione Cambi e Vetta Centrale Corno Grande Gran Sasso), si sbriciola con facilità, gli appigli debbono essere più volte saggiati e del brecciolino, quanto mai infido, ricopre la quasi totalità degli ammassi rocciosi facendo sì che ogni movimento da compiere debba essere valutato e misurato: quindi sforzo fisico ma più altro mentale.


Immagine aerea dell'imponente cresta del sentiero del "Centenario". Grazie della fotografia, scattata il 24 Giugno scorso, a Paolo Cruciani.

A completare il quadro la totale assenza di acqua lungo tutto il percorso ed il sole sempre presente dall'inizio alla fine: dentro lo zaino ci devono essere almeno tre litri d'acqua, ma questo è un dato soggettivo che dipende dalla propria sudorazione e disidratazione, come vedremo a qualcuno in questa circostanza non sono stati sufficienti...


Le prime luci dell'aurora sul Corno Grande.

A questo punto si potrebbe obiettare e dire: "Ma chi ve lo fa fare?"
A tal proposito vi faccio rispondere dall'ultra-maratoneta statunitense Dean Karnazes:

"Lottare e soffrire: questa è l'essenza di una vita degna di essere vissuta. Se non stai spingendo al di là della tua "zona di comfort", se non stai chiedendo di più a te stesso - crescendo e imparando nel cammino - stai scegliendo un'esistenza vuota. Ti stai negando un viaggio straordinario."

Siamo in tre, il numero perfetto: due "novizi" (Gianluca, ossia io, e Claudio) ed un esperto al suo terzo "Centenario" (Maurizio).
Abbiamo scelto questo giorno infrasettimanale perché il meteo previsto è favoloso e questa è una delle condizioni che debbono essere verificate per affrontare questo percorso; l'altra riguarda il proprio stato di forma sia fisica che mentale. 


La lunghissima cresta del sentiero del "Centenario" vista dall'antecima Nord (2700m) della Vetta Orientale del Gran Sasso. Fotografia del 27 Agosto 2017.

Come dicevo questo non è un sentiero per principianti, non è un sentiero da affrontare con superficialità, non è un sentiero per chi non è a proprio agio con l'esposizione, non è un sentiero per chi non vuole faticare: in questo percorso si condensano tutte le caratteristiche che un alpinista deve possedere, no, non mi sono sbagliato, ho detto alpinista perché questo è tutto tranne che un sentiero escursionistico, con tutti i pericoli ed i rischi connessi.

Sulle Torri di Casanova. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Ormai sono tre anni che ho ripreso a frequentare le montagne con una certa assiduità ed il livello delle mie "uscite" sta salendo come è giusto che sia in un percorso di crescita personale che da brevi escursioni di 3/4 ore con dislivelli sotto i mille metri e distanze inferiori ai 10Km, mi ha portato ad affrontare tragitti superiori alle 10/11 ore con dislivelli intorno ai 3000m e distanze nell'ordine dei 30Km: non cito questi dati per auto-celebrarmi, li snocciolo solo per far capire che per poter affrontare in relativa sicurezza certi percorsi la strada da compiere è questa. Per non parlare poi delle difficoltà tecniche, dove sono passato da escursioni svolte prettamente durante il periodo estivo e con grado di difficoltà EEA al massimo, ad ascese sopra i quattromila metri (per la precisione tredici, non sono superstizioso...) con grado di difficoltà PD+, e tanto ancora debbo ancora fare (e credo che per questa vita non farò) visto che la scala prosegue con AD (Abbastanza Difficile), D (Difficile), TD (Molto Difficile), ED (Estremamente Difficile) e ABO (Abominevole)... Magari nella prossima vita si!


Dalla vetta di Punta Zumstein (4563m), la quinta in altezza delle Alpi, vista su Punta Gnifetti (4554m). Lunedì 19 Giugno 2017.

I miei compagni di ventura non sono da meno ed il loro curriculum alpinistico ricalca il mio superandolo addirittura in alcuni punti, siamo insomma un'ottima squadra!


Pizzo San Gabriele, sullo sfondo il Mare Adriatico.

Giunti a Vado di Corno (targa del CAI dell’Aquila con scritto "Club Alpino Italiano, Sezione dell’Aquila, Sentiero del Centenario 1874-1974, da Vado di Corno m.1924 a Fonte Vetica m.1632 (attrezzato)") tenendo quasi un passo di corsa, facciamo una piccola pausa per immortalare la spettacolare vista che si ha sul Corno Grande del Gran Sasso ed in particolare modo sul "Paretone": le prime luci dell'aurora conferiscono alla roccia dei colori che non sto qui a descrivervi, basta vedere le immagini sottostanti che valgono più di mie mille parole.



Verso il Brancastello frontali accese. Grazie della foto a Claudio Lucarini.


Il Corno Grande colorato dalla luce dell'alba. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Si inizia a fare sul serio, il sentiero (adesso stiamo seguendo il 6A vecchia numerazione e n.235 nuova numerazione) prosegue leggermente a mezza costa, sotto la cresta e, dopo una prima parte relativamente semplice, inizia a salire con maggior ripidità: il nostro imperativo ora è raggiungere un punto utile in cresta per poter assistere all'alba sul Mare Adriatico. Saliamo, in fretta, ma il Pizzo San Gabriele copre il disco del sole che inizia a salire alle sue spalle a Est. Finalmente ci siamo, e poco sotto il Monte Brancastello assistiamo ad una  bellissima alba. 



L'alba...
Togliamo le frontali, lasciamo i nostri zaini a terra e proseguiamo a Est verso il Pizzo San Gabriele: l'occasione di toccare un'altro duemila è ghiotta e non ce la vogliamo lasciar sfuggire. In meno di cinque minuti ci siamo e anche da qui le fotografie si sprecano: Pizzo San Gabriele (2214m), primo duemila della giornata!


Dalla vetta di Pizzo San Gabriele vista sulla cresta che conduce al Monte Brancastello.

Tornati sui nostri passi e caricati nuovamente gli zaini in spalla (come ho apprezzato questi momenti di salita al Pizzo San Gabriele senza zaino...) ci apprestiamo a raggiungere la vetta del Monte Brancastello. 


Il Monte Brancastello baciato dai caldi raggi del sole.

Un'ultima erta e dopo pochi minuti ci siamo: Monte Brancastello (2385m), secondo duemila della giornata!


Dalla vetta del Monte Brancastello vista sul Corno Grande del Gran Sasso e sul suo "Paretone".

Anche qui fotografie ed un piccolo spuntino: ricarichiamo le batterie prima di affrontare il primo vero punto topico della giornata ossia le Torri di Casanova che svettano ancora lontane e all'apparenza invalicabili davanti a noi.


"Sai cos'è bello, qui? Che noi camminiamo, e lasciamo tracce nel percorso, lasciamo paure e dolore e sudore portiamo speranze e passioni e amore. Ma domani, su questa grande montagna di noi non ci sarà più nulla. Come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui su queste rocce è qui su queste vette indomabili. Qui non è più terra, e non è ancora cielo. Qui Tutto e Niente si fondono nell'Assoluto". Questa foto di te circondato dall'immensità di queste vette, per ringraziarti della squisita compagnia, simpatia e disponibilità. Sei una persona speciale Gianluca, grazie di tutto, anche dell'acqua....e alla prossima!!
Foto e parole di Claudio Lucarini che ringrazio di cuore contraccambiando le sue bellissime parole che metto da parte, nell'angolino dove ci sono tutte le belle esperienze ed i bei ricordi!

Lasciata la vetta del Brancastello il tragitto prosegue in discesa, sempre in cresta.


Discesa dal Brancastello. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Superiamo di slancio, quasi senza accorgercene, il nostro terzo duemila della giornata, la Cima del vado del Piaverano (2327m) che sovrasta il Vado omonimo. 


Le Torri di Casanova dalla Cima del Vado di Piaverano (2327m).

Proprio qui si trova il primo di uno dei tanti sentieri che permettono di abbandonare il "Centenario" in caso di necessità e scendere velocemente al fondovalle.

Verso le Torri di Casanova. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

La nostra marcia, a parte piccole pause per immortalare gli splendidi panorami che ci si parano di fronte, prosegue imperterrita ed in breve tempo raggiungiamo la base della prima Torre di Casanova. 
Indossati imbrago, caschetto e kit da ferrata siamo pronti per aprire le danze!
Prima che mi dimentichi, anche qui è presente un bivio con un sentiero che conduce al fondovalle in caso di necessità.


La prima parte dei sentiero attrezzato "Familiari": sulla sinistra la targa sbiadita.

La prima parte dei sentiero attrezzato "Familiari": Claudio sulla prima scala.

La prima parte dei sentiero attrezzato "Familiari": fasi di salita con l'ausilio del primo cavo metallico.


 Finalmente le mani sulla roccia! Grazie della foto a Claudio Lucarini.

 Cambio anello! Grazie della foto a Claudio Lucarini.


La prima parte dei sentiero attrezzato "Familiari": passaggi "atletici". Grazie della foto a Claudio Lucarini.

La prima parte dell'ascesa alle Torri di Casanova (2362m) si svolge tramite il sentiero attrezzato "Familiari" (su una targa sbiadita all'inizio della via è scritto " Via Gianni Familiari Colonnello Pilota, Pluridecorato al Valore Militare") che inizia salendo su una scaletta leggermente piegata a parabola prima ed una corda fissa di acciaio poi che si arrampicano su una parete quasi verticale alta circa 20 metri (spezzone rimesso recentemente ed in buone condizioni): alla fine del cavo si esce su una bella cresta esposta ambo i lati. 


Claudio al termine del primo cavo metallico sulla cresta. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Video della salita alla prima Torre di Casanova per la prima scaletta e cavo metallico.

Percorsi pochi passi raggiungiamo un’altra scaletta posizionata di fianco ad una grossa fessura ed arrampichiamo aiutandoci con una corda d'acciaio raggiungendo la cresta successiva (da tener presente che l’ultimo metro del cavo si è staccato dalla roccia e rimane penzoloni). 


Maurizio sopra la scala di fianco alla fessura. Grazie della foto a Claudio Lucarini.


La fessura di fianco alla seconda scaletta. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Il sottoscritto al termine del secondo cavo metallico sulla cresta. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Continuiamo su questa cresta (esposta anch'essa ambo i lati) e saliamo su una grossa roccia alta un paio di metri, senza alcuna protezione (il trucco è scendere leggermente sulla destra e salire da lì), per raggiungere la cima della prima Torre di Casanova. 


Video  integrale della salita e discesa dalla prima Torre di Casanova.

A questo punto inizia la discesa proseguendo nella medesima direzione dalla quale siamo arrivati dove allo stato attuale c'è una gradita sorpresa: la corda fissa che scende lungo la parete opposta da dove si viene inizia qualche metro più in basso rispetto alla cresta e si nota all'ultimo momento, la sorpresa è che è stata installata un'altra corda, fissata più in alto, che arriva fino alla base della parete (circa 15 metri).


Fase di discesa dalla prima Torre di Casanova. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Fase di discesa dalla prima Torre di Casanova. Grazie della foto a Claudio Lucarini.


Fase di discesa dalla prima Torre di Casanova. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Fase di discesa dalla prima Torre di Casanova. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Fase di discesa dalla prima Torre di Casanova.

Possono essere utilizzate tutte le corde presenti.

Ricapitolando, sono presenti su questa paretina tre spezzoni di corda: il più lungo, che parte dalla cima della Torre fino alla sua base, in ottime condizioni; il cavo metallico che parte qualche metro sotto la cima della Torre e si interrompe in prossimità del penultimo anello di fissaggio (il secondo spezzone, che è tranciato, è arrotolato in basso e fissato all'ultimo anello); una corda in nylon che sostituisce l'ultimo spezzone di cavo metallico, in ottime condizioni.

Bisogna aggiungere che il secondo spezzone di corda metallica che conduceva in basso è tranciato (al suo posto è comunque presente un'altro spezzone di corda di nylon).
Una volta scesi siamo saliti lungo un breve pendio detritico fino a raggiungere una sella dove è posta una tabella del CAI dell’Aquila con su scritto: "Club Alpino Italiano, Sezione dell’Aquila, Torri di Casanova, m. 2362".


La targa CAI delle Torri di Casanova.

In circa venti minuti abbiamo superato forse il punto più ostico di tutta l'escursione e qui l'euforia prende il sopravvento: in meno di un minuto saliamo sulla vetta della più alta Torre di Casanova e ci abbandoniamo a scatti su scatti con le pose più disparate.


Luci ed ombre, sullo sfondo Campo Imperatore.

Claudio sulla vetta di una delle Torri di Casanova.


Una mia foto da qui non poteva mancare! Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Quarto duemila della giornata raggiunto, Torri di Casanova (2362m)!
Il prossimo obiettivo ora è la Forchetta di Santa Colomba e, come avrete capito, la nostra marcia continua guardando solo al breve periodo: ogni volta si supera un ostacolo, una difficoltà, l'attenzione va all'obiettivo successivo e solo a quello. Se ci si mette troppo a riflettere su tutto quello che ancora ci spetta c'è il rischio di ammainare bandiera bianca a livello psicologico mentre il percorso è ancora lungo e tortuoso...


Cengia esposta proseguendo verso il Monte Infornace. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Per stemperare la tensione poi, con naturalezza, io ed i miei amici entriamo in modalità "spogliatoio di squadra di calcio" ed i nostri discorsi spaziano in tutti gli ambiti: si passa con facilità dallo sport alla musica, dalle citazioni cinematografiche ai ricordi di vecchie escursioni, dal mondo in cui viviamo alle donne...
E qui mi fermo!


Video diparte di sentiero agevole poco prima della deviazione.

Il sentiero ora scende tra gli spettacolari pinnacoli delle Torri di Casanova ed i nostri occhi si soffermano di continuo sulle alte guglie dell'Infornace e del Prena ed al contempo un quesito inizia a farsi largo nelle nostre menti: dove diavolo si passa?


Verso l'Infornace... Grazie della foto a Claudio Lucarini.


... e le sue alte torri. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Arriviamo in un punto dove un paio di sbarramenti lungo il sentiero ci indicano che siamo giunti alla famosa "deviazione". Ora si può scegliere tra due percorsi: quello ufficiale (bolli giallo-rossi); quello non ufficiale per tracce di sentiero.


Tratto di sentiero "normale". Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Il primo scende ripidamente sulla destra e dopo aver oltrepassato un tratto di sfasciume conduce ad una cengia dove è presente una corda d'acciaio penzoloni: il terreno in questo punto è formato da roccia viva con brecciolino fine sulla sua superficie, per superarlo occorre prestare attenzione.


In questo punto, come indica Claudio, bisogna scendere sulla destra...

... e discendere per questo ripido canalino. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.


Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

No, non mi sento a mio agio con questo brecciolino, meglio scendere e risalire più avanti! Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Ecco, da qui è meglio! Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Il secondo invece segue il filo di cresta e più avanti si ricollega con il primo affrontando però passaggi non proprio semplici ed esposti senza alcuna corda di sicurezza.
Tornando al primo percorso (noi abbiamo seguito quello), oltrepassata la cengia di cui sopra abbiamo raggiunto una sella: siamo risaliti di quota grazie ad un piccolo dosso formato da brecciolino e poi siamo scesi nuovamente sulla destra per una sorta di piccolo canyon. 


"... oltrepassata la cengia di cui sopra abbiamo raggiunto una sella: siamo risaliti di quota grazie ad un piccolo dosso formato da brecciolino...". Grazie della foto a Claudio Lucarini.


All'interno del "canyon". Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Anche qui il fondo è parecchio sdrucciolevole, le pareti di questa strettoia però aiutano, e non poco. A questo punto siamo scesi di traverso per una parete che ci ha condotto fino alla Forchetta di Santa Colomba, ormai  visibile alla nostra destra. 


Video della discesa per il traverso attrezzato.

Il cavo d'acciaio qui è in buone condizioni e grazie al suo aiuto la discesa procede speditamente: un unico appunto, arrivati all'incirca a metà discesa un tratto del cavo in questione è troppo lasco rispetto agli appoggi per i piedi; ne consegue che il busto andrebbe troppo all'indietro rispetto al bacino generando un forte squilibrio... 


Ultimo cavo metallico prima della Forchetta Santa Colomba. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Ultimo cavo metallico prima della Forchetta Santa Colomba. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Ultimo cavo metallico prima della Forchetta Santa Colomba. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Ultimo cavo metallico prima della Forchetta Santa Colomba. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Come se ne esce?
Ci vuole mestiere: io per ovviare a questa posizione di precario equilibrio ho piegato parecchio le ginocchia cercando di mantenere il busto più avanti possibile.


Dalla Forchetta Santa Colomba, vista sull'ultimo spezzone di cavo metallico. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Superato questo tratto la discesa poi prosegue velocemente così come era iniziata ed in pochissimo tempo posiamo i piedi sulla Forchetta Santa Colomba (tabella del CAI dell’Aquila con su scritto: "Club Alpino Italiano, Sezione dell’Aquila, Forchetta Santa Colomba, m. 2260, per Campo Imperatore" con una freccia che indica la sinistra).
Il percorso prosegue scendendo leggermente in direzione opposta alla freccia sopracitata e ci si arrampica... 


Arrampicando verso il cavo metallico. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

E' presente un cavo metallico la cui estremità inferiore è posizionata a circa tre metri di altezza quindi gioco forza bisogna risalire con i pochi appigli a disposizione. Superato questo tratto "muscolare" si segue la corda d'acciaio che sale sulla sinistra affrontando dei bei passaggi. 


Video della prima corda fissa dalla Forchetta Santa Colomba.

Terminato questo tratto si tornano ad utilizzare le sole gambe, per poco tempo però! Di fronte a noi è posizionata una scaletta metallica (alta un paio di metri) utile a superare un salto superato il quale entriamo in un canalino la cui pendenza non è eccessiva: il fondo è il problema di questo tratto che è sdrucciolevole a causa del brecciolino e dei numerosi sassi presenti. 


La scaletta all'ingresso del canalino con cavo metallico sulla destra. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

A darci manforte però è presente un lungo cavo d'acciaio posizionato sulla destra che ci aiuta nella progressione: da questo punto in poi non ho più utilizzato il kit da ferrata per assicurarmi, vuoi per la brevità dei tratti protetti, vuoi per la sicurezza acquisita nel mettere continuamente le mani sulla roccia.


Video del canalino attrezzato con scaletta e corda fissa dopo la prima corda fissa dalla Forchetta Santa Colomba.

Dentro il canale attrezzato. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.


Claudio alle prese con il canale attrezzato... 


... quasi fuori!

In breve tempo sbuchiamo fuori da questo canale attrezzato sopra una piccola cresta: il tempo di rifiatare e stiamo di nuovo arrampicando per delle facili roccette finché non arriviamo di fronte ad una scaletta simile alla precedente. 


"... stiamo di nuovo arrampicando per delle facili roccette...". Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Stavolta il percorso devia verso sinistra e grazie ad uno spezzone di corda lungo un paio di metri proseguiamo con la nostra ascesa in maniera pressoché verticale. 


Video del canalino attrezzato con scaletta e corda fissa, dal quale si raggiungono nell'ordine un'altra piccola scala, una corda fissa, una cresta ed una cengia esposte.

Affrontiamo dei bei passaggi esposti che culminano con lo scavalcare un breve pezzo di cresta: per me è stato questo forse uno dei più bei passaggi dell'intera escursione. Superato questo punto topico, continuando sulla sinistra si arriva ad una stretta cengia dove però è posizionato un cavo in buone condizioni: qui l'esposizione è da brividi e guardando in basso...
Proseguiamo lungo questa cengia finché non arriviamo ad un altro cavo la cui estremità superiore è penzoloni: l'ultimo chiodo ha ceduto.
Saliamo senza affanno e superiamo con facilità anche il tratto (una piccola fessura) non più assicurato: superate alcune rocce ci accorgiamo che non si sale più, siamo giunti sulla cresta sommitale del Monte Infornace. 


Grazie della foto a Claudio Lucarini.

In lontananza, di fronte a noi, si nota la targa di vetta del CAI che raggiungiamo in pochi istanti: "Club Alpino Italiano, Sezione dell’Aquila, Monte Infornace, m. 2426", quinto duemila della giornata!


Targa CAI sulla vetta del Monte Infornace.

Anche qui fotografie e "selfie" di rito: forse mi sono dimenticato di dirlo ma Claudio, oltre ad una pesante reflex, ha con se un'asta telescopica che viene tirata fuori su ogni cima! Nel frattempo veniamo raggiunti da un alpinista di nome Silvio che già avevamo intravisto in precedenza tra una roccia e l'altra: lui vorrebbe proseguire ma raggiunta Fonte Vetica non saprebbe come raggiungere nuovamente il parcheggio posizionato sotto Vado di Corno dove ha il suo camper. 


"Selfie" dalla vetta del Monte Infornace. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Ovviamente è dei nostri, d'altronde la nostra logistica con l'utilizzo di due automobili è stata studiata proprio per questo: come dicevo ad inizio post ho la mia auto parcheggiata nei pressi di Vado di Corno, Claudio la sua a Fonte Vetica, siamo solo in tre quindi, senza neanche a dirlo, la nostra allegra compagnia da tre passa a quattro persone!


Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Occorre ricordare che anche in questo punto è presente una via di fuga che conduce al fondovalle (il noto sentiero "Cieri").
Dopo aver mangiato, bevuto e scattato fotografie a sufficienza siamo pronti per il prossimo obiettivo che si staglia stavolta vicino a noi: il Monte Prena.
Durante le fasi di avvicinamento Claudio mi fa notare come alcune rocce e massi posizionati vicino alla vetta del Prena assomiglino alla famosa torre di "Barad-dûr"...


Tratti aerei verso il Prena. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Io e Claudio in questo scatto non potremmo assomigliare a Frodo e Sam? Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Va bene, dai, non me la voglio tirare troppo, solo un appassionato di fantasy sa cosa sia!
"Barad-dûr" (in sindarin: torre oscura; Lugbúrz nel linguaggio nero) non è altro che la torre situata sulla cresta degli Ered Lithui a Est del Monte Fato, dove sulla sua cima è posizionato il famoso "Occhio di Sauron".
Ok, anche così credo risulti incomprensibile, forse con questa immagine tutto sarà più chiaro.


 L'Occhio di Sauron nell'adattamento cinematografico di Peter Jackson (Screenshot del film "Il Signore degli Anelli - Le due torri", Copyright New Line Production).

Ovviamente le ambientazioni di cui sto parlando riguardano la saga del "Signore degli Anelli" di J.R.R. Tolkien, ed il fotogramma è preso dalla trasposizione cinematografica del secondo libro, ossia "Le due Torri", operata da Peter Jackson.


Verso il Prena. Grazie della foto a Silvio Valentini.


Il tormentato percorso verso il Monte Prena. Grazie della foto a Silvio Valentini.

La marcia prosegue in leggera discesa lungo il sentiero che segue il filo di cresta, la concentrazione inevitabilmente cala e guardando queste guglie rocciose, questi alti pinnacoli che si ergono verso il cielo come anime supplichevoli, questa immane desolazione e la profonda solitudine che questo luogo selvaggio riesce a far insinuare nei nostri cuori, la mia mente inizia ad andare lontano, su Arda...


Verso il Prena, Silvio sotto il filo di cresta. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Da il "Signore degli Anelli", Libro II ("Le due Torri"), Capitolo VIII, "Le scale di Cirith Ungol"

"(...) Infine non poterono più andare avanti e furono costretti a fermarsi. Frodo si sedette su una pietra. Si trovavano ora in cima a una grossa gobba di nuda roccia.
Innanzi a loro vi era una insenatura nel fianco della valle, ed il viottolo ne seguiva l'orlo, non più largo di una sporgenza a strapiombo su di un abisso; poi si arrampicava sulla ripida parete meridionale della montagna, scomparendo nell'oscurità che lo sovrastava. (...)
Terra, aria, acqua paiono tutte maledette. Ma questo è il nostro sentiero. Si, è così disse Sam. E noi non saremmo qui se avessimo avuto le idee un po' più chiare prima di partire. Ma suppongo che accada spesso. Penso agli atti coraggiosi delle antiche storie e canzoni, signor Frodo, quelle ch'io chiamavo avventure. Credevo che i meravigliosi protagonisti delle leggende partissero in cerca di esse, perché lo desideravano, essendo cose entusiasmanti che interrompevano la monotonia della vita, uno svago, un divertimento. Ma non accadeva così nei racconti veramente importanti, in quelli che rimangono nella mente. Improvvisamente la gente si trovava coinvolta, e quello, come dite voi, era il loro sentiero. Penso che anche essi come noi ebbero molte occasioni di tornare indietro, ma non lo fecero.  E se lo avessero fatto noi non lo sapremmo, perché sarebbero stati obliati. Noi sappiamo di coloro che proseguirono, e non tutti verso una felice fine, badate bene; o comunque non verso quella che i protagonisti di una storia chiamano una felice fine. Capite quello che intendo dire: tornare a casa e trovare tutto a posto, anche se un po' cambiato..., come il vecchio signor Bilbo. Ma probabilmente non sono quelle le migliori storie da ascoltare, pur essendo le migliori da vivere! Chissà in quale tipo di vicenda siamo piombati! (...)"

In uno dei prossimi post mi dilungherò maggiormente su questo libro.

Mi risveglio dal mio sogno ad occhi aperti nei pressi del ripido salto che precede l'ascesa finale al Prena: è presente una corda fissa ma è talmente danneggiata che non ci si deve fare affidamento; è altresì presente un'altra corda installata da qualche volenteroso alpinista, ma anche questa è ormai sfilacciata (credo sia lì da parecchio tempo)... Nessun problema, avevo letto in alcune relazioni che l'ostacolo è aggirabile salendo in libera tenendosi un metro a destra rispetto al cavo: ed è così!


L'ultimo tratto attrezzato della via, meglio non utilizzare queste corde e salire tenendosi sulla destra.

In pochi istanti raggiungiamo la sommità di questo risalto roccioso, ormai dalla vetta ci separano circa 200m di salita su roccia e detriti: i sassi ed il brecciolino non mancano neanche qui e a volte sono costretto ad appoggiare le mani a terra non per la pendenza ma per aiutarmi a mantenere l'equilibrio con i piedi che scivolano in continuazione. Come odio questi tratti!


Ripeto, odio questo brecciolino! Grazie della foto a Claudio Lucarini.


A pochi metri dalla vetta! Grazie della foto a Claudio Lucarini.

La mia tenacia però viene premiata ed in poco tempo, a chiudere la fila, raggiungo la vetta del Monte Prena dove oltre alla croce di vetta è presente un'altra tabella: "Club Alpino Italiano, Sezione dell’Aquila, Monte Prena, m. 2561", sesto duemila della giornata!


In questo scatto bacio la croce di vetta del Monte Prena, gesto quanto mai insolito per me, sullo sfondo il percorso compiuto sinora ed il Corno Grande del Gran Sasso.

Altri momenti di gioia, altre foto, altra pausa: il percorso da compiere è ancora lungo e ci dobbiamo ricaricare, il Camicia infatti svetta in lontananza... 


Un "selfie" dalla vetta del Prena ci vuole proprio! Grazie della foto a Claudio Lucarini.

No, non sarà una passeggiata! Togliamo l'imbragatura ed il kit da ferrata che non saranno più necessari per il prosieguo dell'escursione ed una volta pronti per la partenza dobbiamo stare attenti alla direzione da prendere. Infatti all'apparenza sembra che la via Normale non si trovi e si è tentati di scendere leggermente sulla destra, rispetto alla cresta sommitale, finendo inevitabilmente sulle vie alpinistiche "Brancadoro" o "Laghetti" (il bivio è poco sotto la vetta e prendendo il sentiero di destra si scende per la "Via dei Laghetti", prendendo quello di sinistra la "Via Brancadoro"). Proseguendo invece di qualche metro lungo la cresta sulla sinistra è presente un grosso omino di pietre con un bollo giallo-rosso semi-sbiadito, ed è qui che dobbiamo svoltare a sinistra, seguendo poi gli altri segni che si trovano man mano che si scende lungo il ripido pendio. 


Si prosegue per la cresta...

... svoltando poi a sinistra prima di questo omino di pietre.

La discesa è meno ardua di quanto possa sembrare dall'immagine.

Sinceramente da quello che avevo letto su alcune relazioni mi aspettavo di peggio, il pendio non è eccessivamente ripido come descritto, l'unico problema è dato dal fondo che è un misto rocce, sassi e brecciolino ed ogni passo deve essere misurato altrimenti si finisce gambe all'aria: solo questo, una scivolata in questo tratto è innocua (tranne che per il sedere e l'orgoglio personale!) e non condurrebbe in punti potenzialmente pericolosi. 


"L'Occhio di Sauron!" che continua a seguirci!

Dopo circa un centinaio di metri il sentiero abbandona i connotati di cui sopra, la pendenza decresce notevolmente così come il brecciolino che viene rimpiazzato da erba e terra: che bello!


Scendendo lungo la Normale del Monte Prena verso Vado di Ferruccio. Grazie della foto a Claudio Lucarini.

Il sentiero che stiamo seguendo dalla vetta del Prena adesso è il 7A vecchia numerazione e sempre il n.235 nuova numerazione che, piegando verso destra fino a raggiungere la cresta Est del Monte Prena (nell'ordine si supera un piccolo invaso ed un costone), ci sta conducendo verso la sella chiamata "Vado di Ferruccio", dove è presente anche qui una tabella: "Club Alpino Italiano, Sezione dell’Aquila, Vado di Ferruccio, m. 2233". A tal riguardo bisogna dire che la quota scritta sulla targa è differente da quella reale che si attesta intorno ai 2245m.


Uno sguardo in direzione Nord-Est da Vado di Ferruccio.

Questo è l'ultimo punto dove si può decidere se abbandonare o meno il "Centenario", se si prosegue, per forza di cose si deve arrivare al Camicia: scendendo sulla destra invece e prendendo il sentiero 7 (il nuovo è il n.250) si scende alla SS17 bis di Campo Imperatore passando per la strada della dismessa Miniera di Bitume.
Il Monte Camicia si staglia maestoso e ancora lontano di fronte a noi: ci sarà ancora da faticare!


Il Monte Camicia. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Il sentiero dopo un breve tratto agevole, ritorna esile ed impervio costeggiando lungamente sulla destra un'imponente cresta: in alcuni punti i segni ci fanno salire sul suo esile filo... 


"... Il sentiero ritorna esile ed impervio costeggiando lungamente sulla destra un'imponente cresta...". Grazie della foto a Silvio Valentini.

Vista da brividi sulla Nord del Camicia che inizia a mostrare le sue meravigliose stratificazioni calcaree e le sue guglie.


Le stratificazioni calcaree della Nord del Camicia. Grazie della foto a Silvio Valentini.

Dopo alcuni sali e scendi e aver superato un torrione roccioso (tenendosi sulla sinistra) il percorso inizia a salire con una pendenza sempre più accentuata. Si raggiunge una cengia proseguendo in obliquo da destra verso sinistra ed aiutandosi con due vecchi chiodi: quello più in basso è un ottimo appoggio per i piedi!
Prima di affrontare questo passaggio io, Silvio e Maurizio facciamo una piccola pausa prima dell'ascesa finale al Camicia: Claudio è in debito di energia ed è rimasto parecchio indietro; Sabato scorso ha arrampicato per tutto il giorno e di tempo per recuperare ve ne è stato poco. A nulla sono valse le "collette" a base di cibo e liquidi che gli abbiamo donato, l'unica soluzione, visto che ormai non si può più tornare indietro, è quella di prendere quest'ultimo tratto con calma ed attendere. 


Aspettando Claudio, un piccolo spuntino. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Dopo qualche minuto di attesa la sagoma di Claudio appare tra le rocce sottostanti: dico a Maurizio e Silvio di proseguire, con Claudio rimango io.
La mia scorta d'acqua ancora è consistente, il fresco vento che ci ha accompagnato dall'inizio dell'escursione non mi ha fatto sudare parecchio e dei tre litri che avevo con me ne è rimasto circa uno: ne approfitto per darne un po' a Claudio che invece l'ha terminata. Dopo alcuni minuti saliamo per il passaggio sopracitato ed usciamo nuovamente in cresta: si devono rimettere a terra le mani su delle piccole placche con detriti seguendo i bolli che ci conducono nuovamente verso destra proprio sopra il punto dove ci siamo fermati qualche istante prima. 


Claudio alle prese con il misto poco sotto il canalino detrico del Monte Camicia: sullo sfondo il Prena ed il Corno Grande.

Guardando avanti, sopra di me, vedo gli altri due nostri compagni che ci attendono credo all'ingresso dell'ultimo punto topico dell'escursione ossia il ripido canalino detritico. 


Dall'ingresso del canalino detritico vista sulla spettacolare cresta appena percorsa. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Dopo pochi minuti li raggiungiamo e Claudio stremato crolla a terra. 


Maurizio che arrampica sui primi tratti del canalino detritico.

Maurizio si avvia per il canale ed io e Silvio lo seguiamo a ruota: Claudio oramai ce la deve fare con le sue forze, con i suoi tempi, d'altronde non abbiamo con noi corda per proseguire in "conserva". Mi rendo conto che il mio livello di concentrazione è ancora alto e riesco a coordinare i movimenti di gambe e braccia da manuale d'arrampicata: questa constatazione provoca in me una sorta di piacere e sposta i miei orizzonti più avanti... Basta con i sogni! Teniamo la concentrazione su questa maledetta roccia che si sbriciola sotto le mie mani!


Lungo il canalino detritico. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Per evitare che alcuni sassi cadano sulla sua testa Silvio procede quasi attaccato a me: a distanza ravvicinata l'energia cinetica è minore rispetto a quella che si avrebbe a qualche metro di distanza. Mentre Maurizio saliva ci siamo resi conto che anche se si prestano tutte le attenzioni del caso qualche sasso purtroppo cade, quindi o si sta parecchio lontani oppure si sta "francobollati" (Guido Meda docet) l'uno all'altro.


Video di parte della salita per il canalino detritico sotto il Camicia.

Per la cronaca mentre io e Silvio salivamo si parlava proprio di questo: il nostro essere matematici ha colpito anche a queste quote! Questo è quello che accade quando si mettono assieme un Ingegnere ed un Docente Universitario di Analisi Matematica ...
In pochi minuti, dopo un passaggio atletico, usciamo fuori da questo canalino e veniamo quasi assaliti da delle forti raffiche di vento: il morale è alto, oramai per la cresta sommitale del Camicia bisogna risalire solo un ripido ghiaione...


Ultimo passaggio prima di uscire dal canalino detritico. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

Quest'euforia però è di breve durata, ancora manca Claudio all'appello...
I minuti passano, inesorabili...
Lo chiamiamo, senza ottenere risposta. Maurizio prova a telefonargli, ma il suo apparecchio è irraggiungibile...
Mille pensieri attraversano la nostra mente...
Ed il tempo passa...
Quando prendiamo la decisione di scendere nuovamente lungo il canalino per vedere cosa è accaduto, la sagoma di Claudio appare tra le rocce sottostanti...
Fiuuu...
Dopo pochi istanti, stremato, ci raggiunge: "Pensavate male, eh?"
Quasi a stemperare la tensione accumulata ci facciamo una fragorosa risata: "Dai Claudio, ormai ci siamo!"
Come dicevo poc'anzi ora ci rimane solo da risalire un ripido ghiaione ed il compito sarà meno arduo di quanto previsto perché solo ora noto che sulle rocce sulla destra che lo sovrastano sono posizionate alcune corde metalliche.



Poco sotto la cresta sommitale del Camicia. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.


Grazie della foto a Maurizio Franciosi.


Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

In pochi minuti superiamo quest'ultimo ostacolo e raggiungiamo l'ultima tabella del CAI dove è indicata la fine (oppure l'inizio) di questo sentiero. 



La targa del CAI posizionata poco prima della vetta del Camicia.

Ancora una cinquantina di metri e nell'ordine Maurizio, Gianluca, Silvio e Claudio toccano la croce di vetta del Monte Camicia (2564m): settimo ed ultimo duemila della giornata!
Non è ancora finita, si deve scendere fino a Fonte Vetica, ma quello che dobbiamo affrontare è un semplice sentiero escursionistico e non ha nulla a che vedere con quanto superato sinora.
Abbracci e strette di mani si sprecano, questo è un momento speciale, da condividere: non dimenticherò mai questi istanti.
Quella appena vissuta è stata una tra le esperienze alpinistiche ed umane più belle abbia mai vissuto, una sorta di cammino iniziatico che si è svolto in mezzo ad una natura selvaggia e quanto mai pericolosa, un viaggio lungo, bello ed estenuante alla ricerca dei nostri limiti e delle nostre paure, riscoprendo il nostro io più profondo: si, anche questo è il sentiero del "Centenario".


Le "balconate" del Monte Camicia dalla sua vetta.

Immersi in questo contesto fatto di estraneazione e solitudine abbiamo vissuto attimi di gioia, di meraviglia, di tensione ed abbiamo condiviso le nostre emozioni secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, ora dopo ora, passo dopo passo, fino alla fine...


"... alla fine di un bellissimo Centenario, il Monte Camicia dalla sua vetta ci ha regalato questo panorama da lasciare a bocca aperta..."

Ritornando alla realtà mi accorgo che non siamo soli in vetta, infatti poco sotto la cresta, lato Est e riparati dal vento, due simpatici signori stanno banchettando...


I simpatici "salvatori" di Claudio. Grazie della foto a Silvio Valentini.

Il verbo è proprio questo, banchettare! Dai loro zaini sta uscendo fuori praticamente di tutto e Claudio, affamato come è, racconta delle sue disavventure ai due ignari escursionisti che, mossi a compassione, iniziano a condividere con lui il loro cibo: mossa sbagliata!


Particolare della croce di vetta del Camicia. Grazie della foto a Maurizio Franciosi.

"Claudio, guarda, abbiamo questo, ti va? Gnam, gnam! Mia moglie mi ha dato anche questo, lo vuoi? Gnam, gnam..." E così via per una buona mezzora!


Foto di gruppo dalla vetta del Monte Camicia: da sinistra verso destra Silvio, Gianluca, Maurizio e Claudio; sullo sfondo il Prena ed il Corno Grande del Gran Sasso. Grazie della foto a Claudio Lucarini. 

Io e gli altri ci divertiamo a scattare foto, Claudio invece a mangiare!
Notiamo che sulla croce di vetta del Monte Camicia è stata fissata una bandiera tricolore: altro dono dei due simpatici escursionisti, un simbolo che di questi tempi forse bisognerebbe rivalutare...


La croce, il Tricolore, il Prena ed il Corno  Grande sullo sfondo...

Dopo numerosi tentativi andati a vuoto riusciamo a trascinare via Claudio e ci avviamo verso Fonte Vetica seguendo il sentiero n.253 (ex 8A) che scende traversando la testata del Vallone di Vradda. Non possiamo esimerci dall'affacciarci dalle balconate sopra la parete Nord del Camicia, di conseguenza una piccola deviazione per scattare fotografie è d'obbligo. 


La Nord del Camicia... Grazie della foto a Silvio Valentini.

Ora non ci rimane che continuare con la discesa: Maurizio e Silvio iniziano a guadagnare terreno, io rimango dietro con Claudio. 


Sopra le balconate...

Dividiamo la mia ultima acqua e seguiamo il sentiero che percorre il fianco sinistro del Vallone di Vradda. Poco prima di giungere ad un saltino roccioso, tra una chiacchiera e l'altra, Claudio urla ed inizia ad imprecare contro se stesso. 
Cosa succede, ti sei fatto male? gli chiedo.
No, peggio... mi risponde.
Cosa ci può essere di peggio, cosa è successo? chiedo nuovamente.
Ho lasciato le chiavi della mia macchina parcheggiata a Fonte Vetica dentro la tua auto parcheggiata nei pressi di Vado di Corno! mi risponde."
Non posso che mettermi a ridere, ci eravamo organizzati con due auto proprio per evitare di chiedere un passaggio ed invece... Ma si, ridiamoci su!
"Sai quando lo sapranno gli altri, specie Silvio che si è aggregato a noi anche per questo!"
E giù, io a ridere e Claudio a disperarsi...
"Claudio, io accelero, per informare gli altri ma più che altro per cercare un passaggio al rifugio. Ci vediamo giù.
Ad essere sincero la cosa non mi preoccupa più di tanto, sono convinto che troveremo qualcuno al rifugio che ci darà un passaggio. Giunto nei pressi di Fonte Vetica e raggiunti Maurizio e Silvio appena racconto loro di quanto accaduto all'inizio non credono alle mie parole e poi, rendendosi conto che non sto scherzando, anche loro iniziano a ridere a crepapelle. 
In pochi istanti siamo al rifugio e in meno di un minuto abbiamo già trovato chi ci accompagnerà al bivio per Vado di Corno: il buon Yanez (si, il nome è quello tratto dal romanzo di Salgari intitolato "Sandokan"), così si fa chiamare, si è offerto per questa incombenza che verrà ripagata... Da una sana bevuta offerta da Claudio!

Grazie Claudio, Maurizio e Silvio per questa esperienza indimenticabile e alla prossima!






Nessun commento:

Posta un commento